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COME ELIMINARE LA POLVERE E ALTRI BRUTTI PENSIERI

~ Il nuovo romanzo di Daniele Germani

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Recensione di “Aspettando le astronavi” del “MANUALE DI FISICA E BUONE MANIERE” e intervista di Maria Grazia Monni all’autore

26 mercoledì Apr 2017

Posted by Daniele Germani in recensioni

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DANIELE GERMANI, INTERVISTA, manuale di fisica e buone maniere, RECENSIONE

Link originale qui – Pagina FB “Aspettando le Astronavi- il blog di Maria Grazia Monni”

Bentornati all’appuntamento con le Astronavi alla ricerca di Autori emergenti! Questo secondo episodio sarà dedicato a Daniele Germani e al suo Manuale di fisica e buone maniere, edito da David and Matthaus.

Mi sono imbattuta in questo titolo per caso. Un’ amica ne parlava entusiasta in un post sul suo profilo facebook. Io il post nemmeno l’ho letto, a dir la verità, sono rimasta folgorata dal titolo così ho cercato su Google, ho letto la sinossi e, nel giro di un quarto d’ora, avevo già ordinato il libro su Amazon.

Non mi piace leggere troppe opinioni quando si tratta di libri. In genere mi attrae la trama, deve accendersi un qualche tipo di alchimia. Con questo libro è bastato il titolo. Io lo trovo geniale, affascinante, curioso e per nulla banale. Comunque, bando alle ciance ed andiamo con ordine, perchè ho molte cose da dire e un’intervista bellissima con l’Autore da proporvi.

Sinossi:

“Manuale di fisica e buone maniere” è il racconto di occasioni perdute. Il romanzo descrive il complesso rapporto sentimentale ed emotivo fra due studenti italiani, attingendo dal linguaggio e dalle teorie della fisica, mescolando scienza e letteratura. Lui è un assassino di gatti con problemi relazionali al limite della psicosi; lei è una futura astrofisica di successo segnata da un passato tragico. Entrambi vivono con disagio l’esistenza sul nostro pianeta. A far da cornice alla loro storia, una Londra polverosa e poco accogliente, dove si rifugeranno per scappare dal loro passato.

Recensione:

Daniele Germani ci racconta, in questo libro, due storie, anzi la stessa storia sotto due punti di vista: quello di Lei e quello di Lui. Non ci sono nomi nel romanzo. Dall’inizio alla fine non conoscerete mai un solo nome dei personaggi e, a dirvela tutta, sarebbe totalmente inutile conoscerli nell’economia del racconto e di ciò che l’Autore vuole trasmettere.

La prima che ci viene presentata è Lei, una bimba serena, con tante domande nella testa, più grande della sua età e con passioni molto particolari come l’astrofisica. Un personaggio, Lei, per il quale ho sentito subito istintiva empatia, tenerezza.

Dopo pochissime pagine, entra in scena Lui e l’Autore non fa nulla per rendercelo simpatico.

Un ragazzino assente, anaffettivo, che uccide il gattino che gli hanno regalato i genitori per provare la sua teoria sul paradosso del gatto di Schrödinger.

La sua freddezza di fronte all’atto che aveva compiuto e l’altrettanta freddezza con cui mette fine ai suoi rapporti emotivi con la famiglia, a causa della loro reazione di fronte all’assassinio del gatto, mi hanno cucito addosso un senso di disagio forte nei confronti di questo personaggio, disagio che mi ha accompagnata durante tutta la lettura del libro.

Lui è indecifrabile, è una personalità al limite dello psicotico, non riesce ad essere empatico, non riesce ad far prevalere la parte fatta di pelle, sangue e dolore che è in lui, ma coltiva unicamente quella cerebrale, fatta di studi sulla fisica e un’infarinatura di astrofisica. Questo gli garantisce di non soffrire, di piegare tutto alle leggi fisiche e matematiche ma, di fatto, gli impedisce di vivere davvero.

Lui e Lei si incontrano all’università: Lui ne rimane incuriosito quando scopre che lei studia astrofisica, Lei se ne innamora e cerca, come spesso si fa quando si ama qualcuno che ha problemi a relazionarsi, di buttare giù quella barriera dietro cui Lui si nasconde.

Un giorno accade qualcosa fra loro, qualcosa che sconvolgerà la meccanica, asettica e ripetitva quotidianità del nostro e lo spingerà, forse per la prima volta, a farsi delle domande, ad interrogarsi su di sè e su ciò che davvero vuole nella vita. E così Lui molla tutto, fondamentalmente scappa, e va a Londra.

“L’illuminazione giunse immediata ed inaspettata. Cambiare non era dimenticare, ma modellare”

Attraverso gli occhi di Lui vediamo Londra come una città polverosa, pericolosa, piena di opportunità ma, al contempo, pronta a distruggere ogni speranza, a risucchiarti nell’oblio. Ovviamente, non vi dirò nulla di ciò che accadrà al personaggio durante la sua permanenza nella capitale inglese, ma posso dirvi che è un susseguirsi di emozioni, per lo più negative, per lo più dolorose, di quelle che colpiscono allo stomaco, di quelle che ti verrebbe voglia di urlare di tutto a quella figura che ti sei creata nella testa e che per te rappresenta Lui. Lui fa incazzare, sappiatelo, quasi sempre, quasi per tutto il romanzo. Eppure, ci sono stati momenti in cui avrei voluto abbracciarlo, avrei voluto dirgli che è normale avere paura, momenti in cui avrei voluto dirgli che quell’accenno di metamorfosi che stava compiendo, prima del secondo colpo di scena, lo stava rendendo più umano, quasi simpatico, quasi sopportabile ad un cuore istintivo come il mio.

I personaggi che ruotano intorno a Lui nel suo cercarsi a Londra, lo spingono costantemente alla metamorfosi, al prendere contatto con il suo intimo, con il suo mondo interno, con la sua capacità di essere “umano”. Lo spingono ad entrare in contatto con tutto ciò da cui è sempre scappato.

La ragazza con i capelli ricci, il padrone del laboratorio, il direttore dell’ospedale, tutti i comprimari cercano di svegliarlo dal suo torpore, in un modo o nell’altro, cercano di spiegargli che la vita è fatta per lo più di scelte e di libero arbitrio.

“Sosteneva che la consapevolezza dell’intera umanità fosse nascosta dentro di noi e che il non parlare, il non comunicare, l’isolarsi dal mondo, quello sì che erano veri crimini; la scienza, al religione e i libri erano molto importanti, ma senza un’anima “colta”, che fosse pronta a ricevere prima di dare, nessuna vera informazione, dottrina o filosofia sarebbe davvero compresa e tutti gli sforzi di apprendimentio darebbero risultati inutili, semplici scatti mentali di uno sviluppo meccanico”.

E Lei? Lei aleggia come una presenza/assenza per buona parte del romanzo e il lettore è così preso a seguire le vicende di Lui e ad arrabbiarsi con lui che quasi se la dimentica, o insomma, la rilega a comparsa. Finchè a metà del libro Lei riappare prepotentemente e la luce torna nel cuore del lettore, tornano l’umanità, la bellezza dei sentimenti, la paura, l’angoscia, la speranza e l’amore. Lei è viva,  è reale e non si può non amarla. Lei torna solo per trovare lui, per capire, per dare una svolta alle loro vite, per lenire quel tormento che l’accompagna da quando Lui, senza volerlo minimamente, ha sciolto lo strato di ghiaccio dal cuore di questa giovane donna che troppe ne aveva già viste e patite. Lei ci va stretta in questo mondo, Lei ne ha paura ma lo affronta, Lei è disposta ad accettare il cambiamento. Lei è noi, ciascuno di noi è un pò di Lei.

“Lo sapevi che “amore” è una parola senza sinonimi? È sola, in questo fiume di parole che rompono questo silenzio tanto declamato. È una parola silenziosa, amore, che si proclama senza emettere suoni. La si può pronunciare anche solo sfiorando gli occhi di chi è davanti a te. Ed è proprio quando si tenta di urlarla che si pecca di saccenteria.

Amami adesso, nell’errore, mentre cammino in bilico su questa fune che ci unisce e della quale non vedo la fine, amami adesso o cadrò. Prendimi per mano, mentre vago in compagnia di questa folla senza volto, o mi perderò. Fammi sentire il tuo respiro, in questo vagone pieno di fumo, o soffocherò. Amami ora, nell’errore, proprio adesso che ho più bisogno di te”.

“Ho paura di scoprire che non siamo altro che due mondi destinati ad orbitare lontani e contraddittori, Nient’altro che due pianeti extrasolari, senza la loro stella di riferimento. Due pietre che continueranno ad allontanarsi l’una dall’altra, trascinate dalla rassucurante certezza di dimenticarsi”.

 

L’Autore in questo è geniale perchè quando ci racconta di Lui scrive in terza persona e quando ci racconta di Lei scrive in prima persona. Questo amplifica tutte le sensazioni di Lei, rendendola ancor più umana e attaccata alla pelle di chi legge e alimenta il naturale disturbo che la personalità di Lui provoca, facendo sì che non si simpatizzi mai davvero con questo personaggio.

In questo modo Daniele Germani, forse, ci indica il suo messaggio e cioè che la vita è una scelta continua, che non può essere vissuta anestetizzandoci, che anche quando incontriamo difficoltà e periodi difficili non possiamo adagiarci al destino, al fatto che doveva andare così, ma che possiamo fare scelte, che le occasioni mancate devono essere ridotte al minimo. Di fronte al quotidiano, di fronte alla malattia, di fronte alla tragedia, di fronte a famiglie assenti ma ingombranti, come nel caso dei due protagonisti, e anche di fronte alla morte, dobbiamo crescere ed alimentare noi stessi e la nostra anima.

Sul finale non dico nulla, se non che ho dovuto lasciar decantare le emozioni qualche giorno prima di essere sufficientemente lucida per scrivere questa recensione.  

La scrittura di Germani è coinvolgente, scorrevole, accattivante. Non ti stacchi dal libro, una volta che lo inizi, è come un incantesimo. Ho letto che alcuni lo hanno trovato troppo breve: no, è perfetto. Perchè è talmente intenso e pieno di emozioni contrastanti e difficili che ti senti esplodere per quasi tutto il tempo. Non li rimpiangi Lei e Lui alla fine del libro perchè, in realtà, scopri che sono dentro di te, sono entrambi sfumature di ciascuno di noi. Lui ciò che nessuno di noi vorrebbe essere, Lei ciò che forse vorremmo essere, o che magari, in parte o in tutto, siamo già.

Manuale di fisica e buone maniere è un libro sulle occasioni perdute ma è anche un libro sull’importanza di vivere e non di lasciarsi vivere.

Intervista con Daniele Germani:

Aspettando le Astronavi: Ciao Daniele, benvenuto su Aspettando le Astronavi e grazie per il tempo che hai deciso di concedere a questa intervista!

Daniele Germani: Ciao Maria Grazia, beh, grazie a te e allo spazio e al tempo che hai deciso di dedicare al mio romanzo. Inoltre Aspettando le Astronavi è un blog di altissima qualità. E’ un onore per me essere presente.

A: Iniziamo da te… Chi è Daniele Germani? Come ti descriveresti?

D: Iniziamo con le domande difficili. Non lo so chi sono, in effetti. Parto dai punti fermi della mia vita, allora. Sono un neo papà. Da qui parte tutto il resto e questo l’ho scoperto quando l’anno scorso è nata mia figlia, Nikita, che ora ha quasi 8 mesi. Quando nasce un figlio, l’essere scrittori, lavoratori e tutto il resto passa in secondo piano, forse in terzo, tutto diventa subordinato a quella creatura che hai messo al mondo ed è meraviglioso. Finalmente tutto quadra e alla vita si dà finalmente una spiegazione. Non è più vero che nulla non abbia un senso.

Oltre alla mia famiglia,  posso dirti quello che ero, perchè quello che sono o che sarò non l’ho ancora ben chiaro. Ero un viaggiatore e uno che viveva molto alla giornata. Negli ultimi otto anni ho vissuto in molti luoghi, in Spagna, Irlanda, Gran Bretagna e in ognuno di questi luoghi ho avuto esperienze uniche, più o meno positive, ma che hanno contribuito a formare quello che sono ora.

Ti ho detto che lo ero ma spero che, non appena la bambina sarà più grande, potrò di nuovo tornare ad esserlo. Il mio sogno, condiviso da mia moglie Marianna, è prendere un camper e girare il mondo, partendo dall’Asia, scendendo nelle Americhe e arrivare fino al Polo Sud.

Poi magari potremo anche fermarci un pò. Forse rimarrà un sogno, ma prima di fare un viaggio si deve immaginare, desiderare, sapere che avverrà, che poi è quello che accade nello scrivere un libro.

A: Qual è il tuo libro preferito?

D: Altra bella domanda. Difficile sceglierne uno solo. A volte i libri preferiti non sono i più belli che si siano mai letti. Posso dirti che un libro che mi ha cambiato la vita, perchè letto in un momento davvero particolare, è stato “Non buttiamoci giù” di Nick Hornby. Nel mio piccolo l’ho anche omaggiato nel Manuale, dove, durante la narrazione, il protagonista ha a che fare con il “Palazzo dei suicidi” a Londra, che è un luogo realmente esistente. Ripeto, di certo non sarà un capolavoro della letteratura, ma ha cambiato la mia visione delle cose in un periodo difficile della mia vita. Dopo la lettura, infatti, ho deciso di partire e lasciare l’ Italia.

Per quanto riguarda invece gli autori assoluti, che amo particolarmente, posso dirti Kafka, in particolare “Il processo” e quasi tutto di Josè Saramago. Anche questi sono titoli che hanno contribuito a cambiare la mia visione delle cose e del concetto di arte. Soprattutto Saramago con “Cecità”, una vera rivoluzione nel campo della letteratura.

A: Che musica ascolti?

D: Questa è una domanda molto importante. Mi piace molto la musica italiana, Daniele Silvestri, Francesco De Gregori, Vasco prima maniera (non più del 1996), Fabrizio Moro. Ora che vivo a Genova aggiungo anche Fabrizio De Andrè. Amo anche il rock degli AC-DC, Iron Maiden, Dire Straits. Però per scrivere ho bisogno assoluto di musica senza parole, altrimenti mi distraggo troppo. Il Manuale è stato scritto, dalla prima all’ ultima parola, con il pianoforte di Ludovico Einaudi nelle orecchie e direi anche nelle dita. La sua musica è stata davvero ispiratrice. Mi spiace non averlo potuto incontrare a Genova lo scorso dicembre. I biglietti del concerto erano finiti e scrissi al suo ufficio stampa per avere la possibilità di incontrarlo, anche solo 5 minuti prima o dopo, per poterlo omaggiare del mio romanzo. Forse credevano che mi volessi “imbucare” al concerto e l’ incontro non è stato possibile; alla fine gliel’ho spedito. Spero abbia gradito.

A: Impossibile non abbia gradito, a mio modesto avviso.

A: Manuale di fisica e buone maniere è il tuo romanzo d’esordio?

D: Si, è il primo romanzo che pubblico. Ne avevo scritto un altro, ma era davvero poco “spendibile” sul mercato. Me ne sono reso conto solo anni dopo, mentre, al momento, credevo di aver scritto un capolavoro. Il Manuale è il primo e chissà, magari, l’ ultimo. Vedremo.

A: Sono sempre curiosa di sapere che tempi di gestazione hanno i romanzi. Quanto tempo hai impiegato a scrivere il tuo romanzo?

D: La gestazione del Manuale è stata molto rapida. Ho iniziato a scriverlo i primi giorni di agosto 2014 e l’ho terminato, in prima stesura, dopo un mese circa. Nel frattempo, ho avuto anche un piccolo incidente: sono epilettico e ho avuto una crisi in metro con una ferita che mi ha tenuto fermo quasi 15 giorni. Avevo iniziato molto bene e credevo che non avrei più ripreso a scrivere ed invece ce l’ho fatta.

 

Il Manuale è stato più volte corretto. Direi che per arrivare alla sua forma finale, quella che leggete oggi, in totale ci avrò lavorato circa due mesi, ovviamente non consecutivi. Fondamentale è stato l’ apporto del mio agente Andrea Carnevale; mi ha aiutato nella correzione e nella quadratura del cerchio.

A: Ti sei ispirato a qualche persona reale per la caratterizzazione dei tuoi personaggi sia primari che comprimari?

D: No, ho cercato di mantenere fuori dalla caratterizzazione amici e conoscenti, o altri personaggi più o meno conosciuti. E’ proprio il caso di dire che qualsiasi riferimento a persone è puramente e decisamente casuale.

A: Immagino che di autobiografico non ci sia nulla nella storia di Lei e di Lui. Però una cosa mi ha colpita: la tua scelta di narrare la storia di Lei in prima persona e quella di Lui in terza. Come a voler prendere un pò le distanze da Lui, o per tenere il lettore  “in sicurezza” dal tuo personaggio. Perché questa scelta di narrare le due storie in modo così diverso?

D: Immagini bene. Non c’è nulla di autobiografico che non sia funzionale alla trama. Alcuni eventi o atteggiamenti sono stati attinti dalla mia esperienza, ma io non sono nè un astrofisico, tantomento un assassino di gatti.

Per quanto riguarda invece la prima e terza persona, a dire il vero, è stata una scelta stilistica per permettere una netta suddivisione dei due personaggi. La narrazione in terza persona, come hai giustamente fatto notare, distacca molto il personaggio dal lettore. Posso dirti soltanto che Lei non avrebbe mai potuto essere raccontata in terza persona. E’ un personaggio molto più complicato e molto più emotivo di Lui. La terza persona non permette un’empatia totale e Lei meritava di avere una perfetta aderenza con il lettore.

In molti mi hanno fatto notare questo aspetto e ne sono stato molto felice, perchè vuol dire che la scelta è stata azzeccata. Al momento della scrittura, assegnare la prima e la terza persona a Lei e Lui è stato tutto molto naturale, senza forzature.

A: Ho letto che Londra la conosci molto bene perché hai vissuto lì alcuni anni. Nel libro la racconti come una città contraddittoria ma piena di opportunità. Un luogo che può farti emergere ma anche
inghiottirti per non risputarti più fuori. Ma Daniele che ricordo ha di Londra? Cosa ha rappresentato per te?

D: Ho vissuto sei anni in Spagna e, in totale uno e mezzo, a Londra,. Londra però ha rappresentato per me i cambiamenti più importanti. Ci ho vissuto in tre distinte occasioni: nel 2003, quando avevo 25 anni e l’ emigrare non era ancora una necessita e una “moda”. Arrivai in una città molto diversa da quella che è oggi, dove gli italiani non erano molti e il lavoro disponibile non era tanto come oggi. Partii senza sapere una parola d’inglese e dormii su un pavimento per quasi un mese. Questo è l’unico aspetto autobiografico del romanzo, oltre alle lunghe passeggiate che i due protagonisti intraprendono nella città. Quel primo contatto con Londra ha davvero cambiato il mio modo di vedere il mondo.

Ci sono tornato nel 2012, in un periodo molto difficile per me e infatti è durata poco. Poi ancora nel 2015, però questa volta con mia moglie, ed è stato molto bello. Gli ultimi mesi li abbiamo vissuti a Brighton e abbiamo un ricordo bellissimo di quei mesi, perchè Nikita è stata proprio concepita a là, motivo per il quale, poi, abbiamo deciso di tornare in Italia, nello specifico a Genova, essendo Marianna genovese.

Per concludere su Londra, posso dirti che più che una città, è un universo a parte. Madrid, che è la città più bella dove abbia vissuto, è Spagna al 100%. Ovunque si respira la necessità dei propri abitanti di reclamare la propria identità iberica, così come è lo stesso per i catalani a Barcellona. Londra è invece la città dove, se vuoi, puoi diventare chiunque, puoi tranquillamente vivere in totale anonimato o emergere in qualsiasi disciplina o lavoro. Non sto dicendo che sia una buona cosa o meno, dico solo che è così. Io non l’ho amata molto, forse ci ho vissuto troppo poco, ma ho cari amici che ci vivono da anni e, bene o male, la pensano come me.

E’ un posto che deve essere vissuto almeno una volta nella vita, e non solo da turista.

A: Qual è l’ora migliore per scrivere secondo te?

D: Dipende dalla musica che hai a disposizione e da quante pene hai da smaltire. Scherzo, ovviamente. Io ho scritto a tutte le ore, sempre, anche quando avevo a che fare con sceneggiature e articoli. Non credo ci sia un’ora perfetta per farlo, ma c’è bisogno di costanza e impegno.

 

Ho sempre ritenuto che l’ artista folle, quello che senza tecnica tira fuori il capolavoro, che sia pittura, scrittura o musica, non esista. Serve tecnica e soprattutto molta disciplina, altrimenti ci si ritrova a riempire quei cassetti di tanti progetti iniziati e mai finiti. Anche Kerouac e Bukowsky, due grandi geni, avevano un talento immenso che dovevano, per loro stessa ammissione, disciplinare affinchè i loro scritti vedessero la luce. Non mi sto paragonando nemmeno lontanamente a loro, sia chiaro, ma li porto ad esempio perchè ogni scrittore deve, appunto, avere regolarità e una forza di volontà enorme, altrimenti quello che ha dentro resta dentro.

A: C’era un’abitudine particolare durante la stesura del romanzo? Un rito a cui non potevi rinunciare, ad esempio?

D: La musica e la presenza di Einaudi. Prima di iniziare a battere sulla tastiera, dovevo prima ascoltare un pò del suo pianoforte. Non riuscivo altrimenti a buttare giù neanche una parola. Solitamente iniziavo ascoltando “Questa notte” e a volte “Divenire”. Insomma, l’importante era che ci fosse la sua musica ad accompagnarmi nella stesura.

A: Quante ore dedicavi alla stesura del romanzo? Leggo di scrittori emergenti che passano giornate intere a scrivere, persone che dicono di non poter conciliare l’attività di scrittore con il loro lavoro ufficiale. Tu come hai incastrato tutto?

D: Durante quel mese di prima stesura vi ho dedicato quasi tutto il tempo a disposizione. Tornavo dal lavoro alle 19, a volte alle 21 e continuavo quanto avevo lasciato la sera prima. Al tempo vivevo da solo e non avevo altre “distrazioni”, quindi potevo scrivere quando volevo. Diciamo che il massimo era tre ore al giorno, non di più. Oggi è più complicato, anche se la bambina è una complicazione meravigliosa. Mia moglie mi incita a scrivere e a trovare il tempo. Scrivere però necessita di molta concentrazione e di una routine ben definita e, com’ è normale che sia, devo ancora trovarla.

A: Una curiosità od un aneddoto particolare legato al romanzo?

D: Direi il titolo. Avevo tentato più volte di inziare a scrivere questo benedetto romanzo, sempre con storie differenti e titoli un pò campati in aria. Il 6 agosto del 2014 invece mi sono svegliato e avevo “Manuale di fisica e buone maniere” stampato in mente. E’ stata un’illuminazione. Ho iniziato a scrivere la sera stessa e, dopo un mese, avevo concluso la prima stesura.

A: Tu hai avuto la possibilità ed il merito di pubblicare con una Casa editrice: la David and Matthaus. Ti va di raccontarci il tuo percorso, le eventuali porte in faccia e come sei arrivato alla tua CE?

D: Il percorso è stato “asettico”. Mi spiego meglio. Non ho contattato subito la CE, ma un agente letterario, Andrea Carnevale dell’ agenzia Edelweiss. E’ stato subito entusiasta del romanzo e abbiamo firmato un contratto di rappresentanza. Mi ha accompagnato con estrema pazienza attraverso tutta la delicata fase di pubblicazione. Lui era certo che ce l’avremmo fatta, io un pò meno. Aveva ragione lui.

 

Dopo l’ editing, effettuato con molta cura proprio da Andrea, lo ha proposto a varie case editrici e la D&M ci ha risposto quasi immediatamente. E’ stata una bella soddisfazione! Dopo la firma del contratto, il Manuale avrebbe dovuto essere pubblicato molto prima, ma, per le questioni familiari che ti ho raccontato prima, ha visto la luce con quasi un anno di ritardo.

A: Che cosa pensi del self publishing? Secondo te può essere una risorsa per gli aspiranti scrittori? E tu hai mai pensato di pubblicare come self?

D: Dipende. Di base non mi piace. Riconosco che molti capolavori della letteratura sono passati per il SP, ma erano anche altri tempi, soprattutto ad inizio secolo scorso. Oggi purtroppo il SP è una sorta di trappola per chi decide di voler pubblicare un romanzo che forse non vedrebbe mai la luce attraverso la normale filiera. Dico questo perchè, attraverso il giudizio del mercato, ci sono passato anche io. Come ti dicevo prima, il mio precedente romanzo venne rifiutato da tutte le case editrici alle quali lo mandai  e anche dagli agenti. Venni però contattato da un paio di editori a contributo che sembravano entusiasti del mio lavoro. Mi chiesero parecchi soldi ma, in quel momento non ne avevo, quindi la pubblicazione non avvenne. Non avevo ben chiaro come funzionasse il mondo del Self Publishing e ci soffrii molto per la mancata pubblicazione sia attraverso la naturale filiera che mediante il SP. Dopo qualche tempo, però, lo capii e mi ritenni fortunato di non aver avuto quel denaro a disposizione. Insomma, il mio lavoro era stato bocciato dal mercato, segno che era di pessima qualità. Con il Manuale ho intrapreso la strada opposta, mi sono cioè detto: “Se non verrà accettato da nessun editore, finirà nel cassetto senza rimpianti”. Forse qualche rimpianto l’ avrei avuto ma, per fortuna, poi è andata bene.

Oggi pubblicare senza contributo rappresenta quindi un esame di qualità dell’opera. Anche a causa del SP, il mercato è inondato, è più che saturo di romanzi e libri di qualsiasi genere e qualità, e, oggi come oggi, un romanzo per essere pubblicato non deve essere più solo “pubblicabile”, ma qualcosa in più, deve essere almeno ottimo, altrimenti un editore non investe a fondo perduto. Purtroppo molti “editori” oggi fanno gioco sulla voglia degli autori di vedersi pubblicati a tutti i costi, lucrando molte volte sui sogni delle persone, con discorsi del tipo “noi siamo fuori dalle logiche delle grandi case editrici però ti chiediamo 2000€” e questo è un danno per tutti.

A: Sono assolutamente d’accordo con te e, spesso, mi trovo a discutere di questo argomento con molti aspiranti scrittori che non fanno però il tuo ragionamento, cioè non vedono nel “giudizio del mercato”, rappresentato dalle CE uno sprone ad analizzare meglio la propria opera e, magari rendersi conto che non è buona, o che, il più delle volte, è l’ennesimo clone di qualcosa di già letto. Molto spesso si trincerano dietro l’idea che le CE valutino solo ed esclusivamente certi Autori (magari già famosi) e non hanno intenzione di investire su quelli che loro (gli aspiranti) reputano capolavori.

A: Ultima domanda: stai lavorando già ad un nuovo romanzo? Personalmente spero di sì.

D: Altra bella domanda. Si, ci sto lavorando, però quest’ultimo anno e mezzo è stato davvero complicato, bellissimo, ma complicato e non ho avuto ancora la possibilità di mettermi a sedere con tutta la tranquillità necessaria per iniziare la stesura di quello che ho già in mente. Come per il Manuale, ho già in mente il titolo, il messaggio, la trama e il finale. Direi che il più è fatto, ora non resta che scriverlo.

A: Grazie Daniele e, allora,  alla prossima!

D: Grazie a te, davvero. Questa è la prima intervista che mi viene fatta ed è stato un onore e un piacere averla fatta per “Aspettando le Astronavi”. Un saluto a tutti i miei lettori, perchè è vero che senza di loro la scrittura sarebbe solo fine a se stessa. Grazie ancora e a presto!

Di seguito vi lascio i link dei maggiori store su cui è possibile acquistare Manuale di fisica e buone maniere che esiste solo in cartaceo e non in ebook ma sono soldi ben spesi. Compratelo, leggetelo e diffondetelo, perchè merita davvero!

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Recensione su Huffington Post del “MANUALE DI FISICA E BUONE MANIERE”

20 venerdì Gen 2017

Posted by Daniele Germani in recensioni

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manuale di fisica e buone maniere, RECENSIONE

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La recensione originale a cura di Selene Gagliardi  su Huffington Post –> “Quando la fisica ci insegna a vivere”

Quando la fisica ci insegna a vivere

17/01/2017

Nella meccanica quantistica l’entanglement è una teoria che dimostra come due particelle, provenienti dallo stesso campo elettromagnetico, una volta liberate, continuino a mantenere un legame tra loro. Se a una di esse avviene una qualche modifica, essa si ripercuote anche sull’altra particella.

Ci sono particelle – e persone – che donano ad altre particelle – e persone – una parte di sé, rimanendo inevitabilmente legate e determinate al di fuori di loro per tutta la vita. Altre, al contrario, hanno paura del contatto, dello scambio, della contaminazione, e rimangono incastrate dentro se stesse, circondandosi di aculei, come le istrici, per non essere avvicinate.

Ed è proprio questo il caso – e il romanzo – di Lei e Lui, la cui storia di sofferenza e di ricerca di un’identità viene raccontata dall’esordiente Daniele Germani in Manuale di fisica e buone maniere, edito dalla solida casa editrice David and Matthaus.

E la struttura del manuale, del saggio scientifico, questo libro ce l’ha davvero, procedendo lungo una serie di 4 distinte sezioni che prendono il nome da un principio della fisica. L’autore, del resto, mescida nozioni astrofisiche a indagini psicologiche ed emotive, quasi fosse un entomologo alla prese con lo studio di quello strano essere vivente che è l’uomo.

I personaggi, non a caso, non hanno bisogno di essere nominati, perché, nel loro piccolo, sono i rappresentanti di una certa tipologia esistenziale, di chi cerca il suo centro di gravità permanente – per dirla con Battiato, tra l’altro citato nel libro – ma negandosi il diritto di essere felice.

Quante volte avevo giudicato qualcuno soltanto in base a quello che mi aveva permesso di vedere di lui? Ero certa che ognuno di noi avesse una sorta di turbolenza emotiva che provocava questa rifrazione e che non ci permetteva di comprendere davvero bene quanto potessero valere gli altri. Il terrore che non fossimo i migliori, i più belli, i più luminosi, ci impediva di valutarli, di comprenderne appieno la loro brillantezza

Questa recherche proustiana della vera esistenza e dell’uscita da sé, allora, non poteva che svolgersi in una terra straniera come Londra, città immensa, brulicante di vita e al contempo alienante e nullificante. “Volevo essere un nulla in mezzo al niente” afferma Lui nel tentativo di spiegarsi il perché della sua fuga nel Regno Unito, topos perfetto per una rinascita. Nel corso del romanzo, poi, i due ragazzi si troveranno in una condizione che potrebbe permette loro una palingenesi, una rinascita, un cambiamento del proprio carattere in direzione degli altri: Lei sarà libera da legami familiari, Lui dai lacci del passato.

Esattamente come il Mattia Pascal di Pirandello, che era scappato di casa per tentare una nuova strada, con un altro aspetto e un nuovo nome, le anime di questi due ragazzi compiono un moto centrifugo dal loro io, ma senza approdare a un porto sicuro.

E poi c’è la scienza, il loro grande amore, che ha inciso profondamente sulle loro vite e che rischia di diventare la loro condanna. Perché, come insegna proprio il principio dell’entanglement, anche la scienza ha bisogno di un po’ di romanticismo per poter scaldare il cuore. Di grande rigore e precisione è anche lo stile impiegato da Germani, che riesce a mettere insieme minimalismo e precisione nelle descrizioni (anche dell’interiorità).

In Manuale di fisica e di buon maniere si sente costantemente il profumo della possibilità, della speranza, della voglia di cambiare le cose, e al contempo la puzza della paura pietrificante, della rinuncia alla scelta, dell’occasione mancata. Eh sì, perché specie nel finale diventa forte l’implicito appello dell’autore al Carpe diem di oraziana memoria, a cogliere il frutto prima che sia troppo tardi.

E in un romanzo che contagia letteratura e astrofica, tutto ciò non poteva che assumere i contorni della cometa di Halley, che ogni 77 anni torna ad essere visibile alla Terra dal sito neolitico di Stonehenge. Un’occasione da cogliere ogni 77 anni, allora, è come un’occasione irripetibile. Ma non sempre l’uomo ha il coraggio di mettersi alle spalle la turbolenza delle nebulose e guardare fisso le stelle.

Selene Gagliardi
Giornalista e scrittrice

**

Il “Manuale di fisica e buone maniere” è un romanzo non auto prodotto.

Leggi i primi due capitoli

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Recensione di “Recensione Libri” del MANUALE DI FISICA E BUONE MANEIRE

09 venerdì Dic 2016

Posted by Daniele Germani in recensioni

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La recensione originale di Recensioni Libri la trovate cliccando qui.

08/12/2016

Daniele Germani mi scrive un messaggio sulla pagina Facebook che metto a disposizione di tutti coloro che come me amano leggere e scrivere. Mi chiede se voglio leggere il suo libro “Manuale di fisica e buone maniere” per farne eventualmente una recensione.
Beh, ringrazio quel giorno che Daniele ha avuto questa idea, perché oggi ho nuovi compagni di viaggio, i protagonisti del suo bellissimo libro.

Sì, è vero, c’è un lui e una lei  ma non è un libro romantico nell’accezione classica del termine e soprattutto finisce come non immagineresti, almeno per me è stato così. Un finale assolutamente non banale, una storia che ne intreccia altre: lui, lei e la loro passione per le stelle, lui che si traforma o forse è sempre stato l’uomo che il lettore immagina solo alla fine, lei che parte e va a cercarlo contro la sua stessa natura, il mistero di un incidente che forse non verrà risolto se non a livello individuale da ogni lettore, l’incapacità di comunicare con il prossimo, la ricerca delle sensazioni e, al contempo, il timore di provare qualcosa, Londra, un ospedale, altri incontri.

Se dovessi identificare questo libro con una sola parola direi “denso” e non solo per le oltre 170 pagine a dire il vero scorrevolissime. Denso nel senso che non è un macigno ma nemmeno l’acqua leggera che ti scorre addosso, denso nel senso che ti restano dentro le parole di Daniele soprattutto quando, come è accaduto a me, ritrovi un po’ delle parole della tua adolescenza e, fatalità, era proprio tua nonna a dirtele, le stesse che lei sentirà dirsi dalla sua nonna.
Grazie Daniele.

**

Il “Manuale di fisica e buone maniere” è un romanzo non auto prodotto.

Leggi i primi due capitoli

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Recensione di CHILI DI LIBRI del “MANUALE DI FISICA E BUONE MANIERE”

02 venerdì Dic 2016

Posted by Daniele Germani in recensioni

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Articolo originale su Chili di Libri consultabile qui -> http://chilidilibri.altervista.org/manuale-fisica-buone-maniere-daniele-germani/

2 dicembre 2016

Recensione

Due bambini, che poi diventano ragazzi, che vedono e leggono i rapporti familiari come pianeti, orbite, costellazioni. Da una parte lei, che definisce la propria famiglia un sistema che ruota e gravita attorno al padre, il sole; dall’altra lui, che si sente un estraneo a tutti, ma che riconosce come i pianeti e i satelliti abbiano un loro moto e si influenzino, anche a distanza.

Due ragazzi che cercano la propria strada, la propria identità. Entrambi a disagio, con un passato difficile da gestire. Entrambi hanno scelto la solitudine, l’isolamento. Finché non si incontrano.

Non sapevo che l’affetto che sentivo non andava frettolosamente innalzato a quello che desideravo, ma doveva essere fatto crescere con il tempo necessario, con le condizioni giuste, senza la fretta e la voglia di diventare anche io una persona normale. La colpa fu soltanto mia; ebbi la presunzione di credere che quella felicità che mi era stata tolta mi dovesse essere restituita. Ora ho capito, oggi lo so.

Da quel momento, da quanto l’orbita di uno entra in quella dell’altra, la loro vita cambia. Faranno scelte che li porteranno a essere infelici, a non vivere, perché quello è l’unico modo di vivere che conoscono. Si inseguiranno, fuggiranno e si ritroveranno, e in mezzo a tutto questo c’è la vita, appunto. Ci sono le scelte di ognuno. Ci sono le priorità che uno si dà.

Non era pronto e non voleva più essere il centro focale di quell’ellissi che non poteva calcolare, che non riusciva nemmeno a immaginare. La sua famiglia, quella ragazza, gli studi che andavano a rilento. Non era quello il suo universo. Decise di nascondersi. Decise di non vivere. E ci riuscì, anche se per poco.

C’è vuoto, c’è tristezza, c’è incapacità di comprendersi e di sentire l’altro. Sono legati, loro due, si influenzano come i pianeti, ma non si troveranno mai veramente.

Entrambi cercano la felicità nell’isolamento, convinti di bastare a se stessi. E in qualche modo ci riescono, anche se è come se vivessero sempre in apnea, senza assaporarla la vita, senza gustarla. E sembrano fatti l’uno per l’altra.

Ogni tanto leggevo qualche notizia sul giornale, di qualche disgrazia, come bambini morti, vittime innocenti di una qualche catastrofe naturale, ma non provavo niente di niente, mi era tutto indifferente. Sapevo solo che non avrei mai più voluto sentire il dolore. Ero certa che ci sarei riuscita. Avevo un piano che avrebbe funzionato: scompa- rire e non parlare più con nessuno, non circondarmi mai più di nessuno, esseri umani o animali che fossero.

Si ritrovano come il gatto di Schrödinger: vivo e morto al tempo stesso.

È un bell’esordio, intenso. E triste. Non so perché, ma ultimamente mi sono ritrovata a leggere di persone che non sanno, non riescono o non vogliono vivere. E lo so che nella vita è così, ma mi dispiace sempre leggere e vedere persone che rinunciano alla propria felicità. Che poi da fuori sembrano non felici, ma magari sono solo diversamente felici. Loro vivono la loro vita a modo loro, in un modo per me incomprensibile. Come si può essere felici da soli? Davvero possiamo bastare a noi stessi? E alla fine, che cosa ci rimane?

Il libro di certo non ha la pretesa di dare risposte, e nemmeno di porre interrogativi, ma per me è impossibile non chiedermi: perché non ci provano? Perché si respingono pur essendo l’unica possibilità l’uno dell’altra?

È un libro che cita e interpreta la famosa equazione di Dirac, che è stata più volte ripresa e manipolata, fino a definirla equazione dell’amore. Ci sono alcune spiegazioni scientifiche, e ho così scoperto il perché del rosso del tramonto. Il tutto è funzionale alla trama; i due protagonisti amano l’astrofisica e utilizzano quei termini e quelle metafore per spiegare e spiegarsi, perché per loro quello è il modo di interpretare ciò che li circonda.

Il perché del titolo non lo spiego, non vorrei dire troppo del libro.

Ma il mare è soprattutto strada, direzione; è il netto stagliarsi di brezza marina come pensieri, è una musica senza parole, è un giro di archi che accompagna un ritmo lento, profondo. C’è un punto esatto, ed è solo quello, dove inizia tutto, dove inizia la tua vita, dove il tuo destino è messo alla prova. Quel punto è dove acqua e uomo si incontrano, si chiama riva, porto, sco- glio, spiaggia, si chiama in molti modi, ma è sempre lo stesso, è sempre destino.

Tocca l’acqua, chiudi gli occhi, pensa: “Da qui posso raggiungere qualsiasi altro punto della Terra, dall’altra parte del globo, dove probabilmente un altro essere umano sta facendo la stessa cosa, dove sta scoprendo che c’è un destino che l’aspetta”.

Daniela

Recensioni e citazioni

18 martedì Ott 2016

Posted by Daniele Germani in recensioni

≈ 3 commenti

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