• Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri
    • Acquista la tua Polvere e certi Brutti Pensieri
    • Leggi la prefazione
    • Dicono della Polvere e dei Brutti Pensieri – Recensioni
    • Stampa e media
  • Acquista la tua Polvere e certi Brutti Pensieri
  • Home e ultime notizie
  • Il manuale
    • Cos’è il Manuale
    • Leggi i primi due capitoli
    • Acquista il Manuale
    • Dicono del manuale – Recensioni
      • Stampa e media
    • COMUNICATO STAMPA DAVID AND MATTHAUS
    • Presentazione Colleferro 16 10 2016 – FOTO VIDEO
  • Contatti e social
  • BLOG PERSONALE
  • Biografia
  • Stampa e media

COME ELIMINARE LA POLVERE E ALTRI BRUTTI PENSIERI

~ Il nuovo romanzo di Daniele Germani

Archivi tag: racconti brevi

Teresa Anania recensisce COME ELIMINARE LA POLVERE E ALTRI BRUTTI PENSIERI per Il mondo incantato dei libri

27 venerdì Set 2019

Posted by Daniele Germani in News, RECENSIONI POLVERE

≈ Lascia un commento

Tag

BASAGLIA, books, contatti, LEGGE BASAGLIA, leggere, letteratura, letteratura contemporanea, letteratura italiana, lettori, lettura, libri, Ludovico Einaudi, pazzi, psicologia, racconti, racconti brevi, RECENSIONE, romanzo, scrittori, scrittura

Link originale alle recensione cliccando qui

“Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri”, di Daniele Germani

Introduzione

Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita. (Alda Merini)

Aneddoti personali

Cos’è realmente la pazzia? L’etichetta di “pazzo” viene spesso attribuita in maniera impropria a quanti preferiscono lasciare ad altri la convinzione di essere normali.

Recensione

Dopo aver entusiasmato i lettori con il suo romanzo d’esordio “Manuale di fisica e buone maniere”, Daniele Germani ritorna con un altro romanzo dal titolo particolare; una metafora che leggendo non tarderà a svelarsi. Singolare la cover, passaporto necessario al percorso che si andrà a compiere in un mondo appartenuto ad una pagina triste di un passato recente; e forse anche il colore scelto non è casuale …  Siamo alla fine degli anni settanta quando,due anni prima della sua morte, Franco Basaglia dà il nome alla Legge 180/78, nota appunto come Legge Basaglia, che decreta la chiusura definitiva dei manicomi, segnando una svolta nel complicato capitolo “assistenza” ai pazienti psichiatrici. Veri e propri lager di tortura e sevizie nei quali venivano internati, in quelle che altro non erano che celle spesso di isolamento, tutti quei soggetti “mentalmente instabili”, “troppo vivaci”, “incompresi”, “estremamente introversi”, “fuori dal coro” o considerati malati perché omosessuali … Tutti coloro i quali occorreva tenere lontani dalla “normalità” appartenente ad una società che ha sempre preferito nascondersi dietro a un dito se non alzare muri, di fronte a difficoltà oggettive derivanti da situazioni complicate, forse, da affrontare. Non ci si poneva neppure il problema di come gestire un parente o un figlio/a caratterialmente irrequieto o sui generis, dalle idee un po’ bizzarre o magari semplicemente eccentrico; non “domabile” e quindi, spesso con la complicità di consenzienti medici di famiglia, da internare. Persone, individui, ridotti a larve umane che pazzi lo sono diventati davvero, giorno dopo giorno, perché scopo di pseudo medici responsabili di atrocità e sevizie inaudite,non era di sicuro l’applicazione del Giuramento di Ippocrate. La guarigione non era contemplata; diceva Basaglia ” La società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere.” Ed è proprio su questo che Germani accende i riflettori, sulla totale mancanza di volontà nel capire, singolarmente, le problematiche di ogni “malato mentale” e provare a risolverle.
Tre protagonisti, un uomo, una donna e un pazzo. Tre storie con un unico filo conduttore:essere ostaggio della propria mente, alienati da “brutti pensieri” che sommergono un cervello già sepolto sotto una fitta coltre di “polvere”. Tre personaggi borderline, forti nelle loro fragilità, vittime dell’ignoranza e dei pregiudizi, di un distorto stereotipo chiamato follia che tende ad omologare sotto una percezione sbagliata una realtà fatta di sofferenza, rimpianti e dolore. Dove la vittima, a volte, si confonde col carnefice quasi a voler giustificare un senso di rivalsa lavandosi la coscienza.
Recensire senza entrare nel vivo della narrazione non è semplice e ancor meno lo è cercare di trasmettere le emozioni di ogni genere e grado che ci si trova a vivere e a provare un capitolo dopo l’altro. Non racconterò nulla dei tre (?) personaggi, lascio al lettore l’onere e l’onore di fare la loro conoscenza; di avvicinarsi in punta di piedi a chi per anni ha dovuto fare i conti con quella mancanza di credibilità e di rispetto che spetterebbe di diritto a tutti gli esseri umani. Daniele Germani ha saputo raccontare con eleganza, attraverso una scrittura colta, raffinata e scorrevole, lo spaccato vergognoso di società che di civile ha solo il nome. La narrazione, trascinante e introspettiva, conduce inevitabilmente alla riflessione sulla diversità in senso lato e su un concetto di normalità troppo spesso fatta solo di finzione e apparenza. Daniele induce il lettore a compiere un viaggio attraverso tutti quei cunicoli e quelle strettoie della mente umana ancora esplorate solo in parte e dove risiedono vicende, traumi infantili, paure, fantasmi, fantasie e immaginazioni che, in taluni casi uscendo dagli argini che delimitano un equilibrio precario, finiscono col prendere il sopravvento sfociando in ciò che nella migliore delle ipotesi si chiama “solo” depressione…

Conclusioni

Assolutamente da leggere con la consapevolezza di apprendere, anche se in chiave romanzata, ma in maniera diretta, cruda a volte, fatti che pur se non nella fattispecie del racconto in sé, realmente accaduti all’interno di tutte quelle carceri travestite da Istituti di Cura che avrebbero, solo, dovuto fare da zona di conforto tra le famiglie e quanti ne avevano realmente bisogno.

Teresa Anania

Voto 5/5

Citazioni

“Forse non ci stavano mandando via, forse avevano capito che avevamo solo bisogno di tranquillità, di serenità, di non prendere bastonate per ogni cosa, di non avere la testa immersa in secchi di acqua gelida e soprattutto di non morire senza motivo. … Non avevamo bisogno di essere liberi. Avevamo bisogno di essere curati. Loro dicono liberi, ma oggi io dico abbandonati.”

 

“Io non ero Pazzo finché non sono uscito dall’Istituto, perché prima ero come tutti gli altri. Perché, forse questo non vi è chiaro, i matti sono matti quando sono fuori, quando sono in giro, quando sono a contatto con voi che siete normali. … io sono Pazzo perché siete stati voi a decidere di essere sani.”

 

“…Dottore, ma lei così ammazza i granelli di polvere che ho in testa, … lei non li conosce, quei granelli. A lei sembrano solo polvere, ma vivono, Dottore mio. Io guarirò e loro moriranno. … Ti prometto che sistemeremo anche la polvere… Non capiva tutto quello che gli diceva, ma andava bene così. Era lui a dover capire, non il Pazzo a spiegarsi meglio.”

  • Editore:Edizioni Spartaco
  • Data di pubblicazione:25 Luglio 2019
  • Note di pubblicazione:Edizioni Spartaco – Collana Dissensi
  • ISBN: 978-88-96350-76-8
  • Prezzo (Euro): 12.00
  • N. Pagine: 193

* ACQUISTA LA TUA POLVERE E CERTI BRUTTI PENSIERI

* LEGGI UN ESTRATTO CLICCANDO QUI

* LEGGI TUTTE LE RECENSIONI CLICCANDO QUI

Tre anni con l’Agenzia Letteraria Edelweiss

18 domenica Mar 2018

Posted by Daniele Germani in News

≈ Lascia un commento

Tag

amicizia, letteratura, letteratura italiana, lettura, libri, premio san salvo, racconti, racconti brevi, racconto, romanzo, scrittori, scrittori esordienti, scrittori italiani, scrittura, scrittura creativa, social

san salvo con andrera e robertoTre anni fa firmavo il contratto di rappresentanza con l’Agenzia Letteraria Edelweiss.
Ero totalmente inesperto di tutto quello che riguardava l’editoria, ma con Andrea e Roberto ho iniziato un percorso professionale riguardante il Manuale di fisica e buone maniere, tramite il quale siamo arrivati alla pubblicazione del romanzo, e uno molto più importante, quello umano, che mi ha portato a conoscere aspetti di me che non avrei mai potuto immaginare potessero esistere.

Sono stati tre anni esaltanti, con qualche momento difficile, fatto di alcune incomprensioni dovute in gran parte alla mia inesperienza, ma soprattutto di esaltazione, gran lavoro e ottimi risultati.
La loro Agenzia è una casa accogliente, un luogo dove ogni scrittore e scrittrice dovrebbero vivere e crescere professionalmente.

Andrea è preciso, chirurgico, appassionato.
Ha colto in me e nella mia scrittura qualcosa che io non sapevo neanche di possedere. Ha capito prima di me cosa volessi comunicare e mi ha aiutato a farlo crescere, maturare e poi sbocciare.
Se oggi ho scritto e sfornato un libro e ne ho scritto un secondo in attesa di essere pubblicato, Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri – Romanzo, è soprattutto grazie a lui.
Se mai un domani diventerò uno scrittore vero, una gran parte del merito sarà il suo.

Grazie Andrea, grazie Roberto, incontrarvi è stata una fortuna e un onore.

E questi sono solo i primi tre anni.
Andiamo avanti così, avremo grandi soddisfazioni insieme.

Vi abbraccio

Daniele

Daniela Sardella recensisce il MANUALE DI FISICA E BUONE MANIERE per La Gilda dei lettori

28 domenica Gen 2018

Posted by Daniele Germani in recensioni

≈ Lascia un commento

Tag

letteratura, letteratura italiana, lettura, libri, racconti, racconti brevi, racconto, RECENSIONE, romanzo, scrittori, scrittori esordienti, scrittura, scrittura creativa

Daniela Sardella recensisce il Manuale di fisica e buone maniere per La Gilda dei lettori

QUI LA RECENSIONE ORIGINALE

Guardando la copertina del suo Romanzo, dove è raffigurata una formula matematica, non avrei mai potuto immaginare di imbattermi in una storia d’amore. Una storia d’amore si, ma piena di paure, fragilità, disagi ed eventi che hanno segnato per sempre la vita dei due protagonisti. Una storia diversa, che non parla di romanticismo, ma che ti colpisce facendoti patire ogni attimo del racconto. Due ragazzi con storie differenti che hanno “segnato” il loro percorso, le loro scelte o se vogliamo chiamarlo il loro “destino”….

Lui un ragazzo chiuso con problemi relazionali, un tipo strano, che possiede un libriccino, che custodisce in maniera quasi maniacale, dove annota i suoi esperimenti bizzarri e lugubri, come gli esprimenti che portano alla morte del suo gatto.

Lei una brillante studentessa di Astrofisica, ma con un passato brutale, cattivo che le ha segnato non solo il resto della vita spezzandole la gioia e l’amore perfetto di una famiglia perfetta, ma che ha cambiato l’essere interiore che era, costruendo un muro tra se e i rapporti umani.

“Decise di non vivere, decise di nascondersi e ci riuscì, anche se per poco!!” Come ambiente perfetto Daniele Germani sceglie uno scenario poco accogliente, direi freddo, ma che lui sa descrivere così bene che ci dà la sensazione di percorrere gli stessi vicoli del protagonista. Luogo adatto per essere invisibile, ognuno vive la propria vita quasi come dei Robot. A quel ragazzo così silenzioso serviva solo mimetizzarsi tra la gente e tutto sarebbe andato nel verso giusto.

Ma ancora una volta si presentano situazioni strane…Uno strano incidente gli provoca Amnesia, ed essendo fuggito senza lasciare tracce, non lo cerca nessuno, nemmeno la famiglia e tutto ciò lo porta, forse senza volerlo, ad ottenere ancora più ciò che desiderava: essere invisibile!!

Poi lei, la stessa ragazza che lo ha portato a fuggire da tutto e tutti, dopo quel bacio lo sorprende e lo sconvolge in maniera ancora più forte.

La lettura è scorrevole e piacevole, mi ha saputo riportare indietro nel tempo. Durante la lettura si sono svegliati sentimenti forti che hanno fatto riemergere in me sensazioni e disagi che i protagonisti hanno provato: il sentirsi fuori posto nella stessa famiglia e le immancabili scelte, forse giuste o sbagliate, che hanno segnato il cammino della loro o nostra esistenza!

Vi invito a immergervi in questo splendido Romanzo dove Daniele Germani racconta un amore diverso, unico nel suo genere. Buona lettura a tutti voi!

Daniela Sardella

La banalità dell’incredibilità, ovvero la vita

21 domenica Gen 2018

Posted by Daniele Germani in blog personale

≈ Lascia un commento

Tag

amicizia, letteratura, letteratura italiana, libri, racconti, racconti brevi, racconto, scrittura

Certe storie meritano di essere raccontate; una di queste è quella che mi appresto a scrivervi e fa parte di quelle storie storie semplici ma incredibili
che non hanno lo scopo e la presunzione di insegnare nulla a nessuno, se non che non esiste nulla di così talmente incredibile e improbabile che non possa avvenire in questa nostra vita.

C’è però bisogno di un piccolo preambolo. Durante i mesi precedenti alla morte di mio padre, quando lo assistetti e accompagnai verso il suo destino per tutte le sue ultime notti su questa terra, durante quelle notti insonni piene di nulla e di tanti, troppi silenzi, i pensieri si addensavano fino a fare male e dovevo trovare il modo di smaltirli un po’.

Iniziai quindi a giocare a Poker con quelle applicazioni gratuite che giravano sui social. Mi piacque e pian piano passai al poker vero, dove si giocavano i soldi. Mi scoprii abbastanza bravo e volli coltivare questa passione.

Tornato a Barcellona, creai una lega di Poker e fu un successo: era ben fatta, molto organizzata e agonistica; insomma, era di buon livello. Conobbi tante persone, ma non rimasi in contatto con nessuna di loro.

Una di queste si chiamava Vladimir, un ragazzo ucraino. All’epoca della lega aveva 18 anni. Ricordo la prima volta che lo vidi: magro, rasato, con gli occhi sfuggenti e di poche, pochissime parole. Giocavamo a poker, era questo che ci univa, con lui e con tutti gli altri.

Pian piano però le cose cambiarono e i rapporti con qualcuno fu così con dei miei compagni di poker si evolvettero e in qualche caso nacque l’amicizia. Fu così con Vlad, appunto.
Scoprii che quel ragazzo taciturno, grande pokerista, era soltanto molto timido. Con me si aprì molto e io feci altrettanto con lui. Si sviluppò un’amicizia molto forte. Quando andai via da Barcellona però, tagliai i ponti con quasi tutti e lui fu uno di quelli. Passarono gli anni, gli eventi, le persone e la memoria relegò tutta quella storia in un angolo poco frequentato della mia mente.

Tutto questo mi porta al 14 gennaio scorso, il giorno dell’inaugurazione del Roma Club Genova. Dopo l’inaugurazione fui contattato dall’UTR (che è un’associazione che collega i Roma Club alla As. Roma) che offrì possibilità di inviare una delegazione per incontrare i giocatori. Pronti, via, andiamo a quindi a Milano ad incontrare i calciatori. Foto, tutti contenti, autografi qui e lì, e ripartenza alla volta di Genova.

L’autostrada A7 che collega Milano a Genova, il 20 gennaio alle 22.00, non è che sia il posto più frequentato del mondo, ve lo assicuro.
In verità c’eravamo solo noi su quella autostrada, e solo noi anche nel parcheggio dell’Autogrill di Pavia, dove ci siamo fermati per prendere un caffè e poi ripartire. Temperatura esterna: 1 grado centigrado.

Prima dell’entrata vengo avvicinato da un tizio. Aveva lo zaino classico dei viaggiatori, con una tenda attaccata e un paio di buste piene di cibo. Mi ha detto qualcosa, ma non l’ho nemmeno guardato in faccia, e gli ho risposto solo: “No, no”.

Però lui ha insistito e mi ha chiesto: “Hablas Espanol?”
Gli ho risposto di si, non capivo dove voleva arrivare.
“Si, tu lo hablas?”. Mi rispose di si.
“De donde eres?” gli chiedo. “Barcelona”, mi risponde.
“Vivì para 5 anos en Barcelona”. E lo guardo finalmente negli occhi.

Capelli arruffati, barba lunga, ma curata, una giacca troppo leggera per quel grado centigrado della campagna vicino Pavia. Mi sorride prepotentemente. “Jugavas a Poker?” In quel momento sono andato un po’ in tilt.

Ho sgranato gli occhi e l’ho guardato bene, ma vedevo ancora solo e soltanto un tizio che forse voleva scroccarmi dei soldi che non avevo. Non riuscivo a capire la domanda riguardo il poker.
Al chè gli chiesi: “Como te llamas?”

Ormai il suo sorriso era più grande della faccia che lo ospitava.
“Soy Vladimir!”
Mi rendo conto che così scritto non può trasmettere l’emozione che abbiamo provato.

Le possibilità che questo accadesse erano forse meno di quelle di vincere due lotterie di seguito.
Ora Vlad sta girando il mondo senza meta e senza soldi, in un progetto tutto suo che va contro a tutto, ma incontro a tutti, senza elemosinare nulla con la fierezza di un viaggiatore di altri tempi.
Io sono felice che questo giorno sarà ricordato da entrambi per sempre come uno dei giorni più incredibili della nostra vita, ovunque noi saremo, ovunque lui sarà.

Per sostenerlo vi consiglio di visitare il suo canale Youtube cliccando qui

Non vi chiederà mai soldi, ma solo di viaggiare con lui.

BUON VIAGGIO VLAD!

IO E VLAD

UNA PARTITA COME LE ALTRE

12 domenica Nov 2017

Posted by Daniele Germani in blog personale

≈ Lascia un commento

Tag

as roma, calcio, derby della capitale, lazio, letteratura, racconti, racconti brevi, scrittori, scrittori esordienti, scrittori italiani, scrittura, scrittura creativa

Sono le otto, è già buio. Lo è già da un pezzo. Entra dentro quello spogliatoio pieno di armadietti dove invece c’è una luce bianca, accecante. Qualche decina di watt in più del necessario.

Il suo armadietto si tiene dentro, ben nascosta, la vita fuori da quel posto. Lì dentro ci sono le ore che uno lascia in sospeso nella propria vita, che toglie tempo ai passi che uno vorrebbe camminare su qualche altra strada.

Poi ci pensa su; ‘Ma quali vite?’ si chiede silenziosamente. ‘A tutte le vite che avrei voluto vivere’, borbotta a voce bassa. Grugnisce a quella risposta.

Lo sa che ne ha già vissute tante, forse troppe. Forse dovrebbe stare a casa ad ascoltarsi la partita in santa pace. Stasera c’è il Derby. Roma contro Lazio. Il Derby della Capitale.

‘L’aria è elettrica‘ e ridacchia tra sé e sé. Ha sempre odiato le frasi fatte, però è vero; a Roma quella partita di pallone, come l’ha sempre chiamata lui una partita di calcio, è sempre stata sentita in maniera speciale. Non è una partita come le altre. Coinvolge tutta la città, coinvolge anche chi di calcio proprio non gliene frega niente e trasforma l’elettricità che c’è nell’aria in tensione, in attesa che non finisce mai.

Lui, vecchia generazione, vecchie mani, vecchia schiena e un viso segnato da qualche solco di troppo come filari di vite ormai rinsecchiti che non daranno più quel buon vino di una volta. Lui ne ha visti tanti di Derby. Ha visto tante partite di pallone, dal vivo, solo dal vivo. Dice che non ne ha mai vista nessuna in televisione: o dal vivo, o alla radio.

Lo sa che non è vero, ma alla sua età qualche bugia se la può anche inventare e può pretendere che tutti gli altri ci credano. Ha un’età che si tiene per se. Ma se deve ancora lavorare è perché è obbligato a farlo, mica perché ha piacere. E non può andare allo stadio perché un biglietto costa troppo, tutto qui.

Guarda il suo armadietto. C’è una sciarpa in lana, grande e grossa, piena di rattoppi. Si toglie la divisa di lavoro, gli vengono i brividi ‘che fa freddo in quello spogliatoio, e si veste dei vestiti della sua vita vera, quella che aveva lasciato in sospeso una decina di ore prima.

Vestiti semplici, un po’ consunti, ma non fa nulla. Sono puliti, quello conta. Non ha voglia e denaro da sprecare per comprarsi un’altra divisa per la vita di tutti i giorni. Gli basta quella che ha.

Si veste. Guarda quella sciarpa.

È la sciarpa della sua vita, con i colori della sua vita. Giallo ocra, rosso pompeiano. Sono questi i colori che l’hanno sempre accompagnato per tutta la sua strada.

Esce, finalmente. C’è una città fuori. No, non è una città. È LA città che lo avvolge. Le otto e mezza. Un quarto d’ora. Si cerca una panchina dove ascoltare la partita in pace. Farà un po’ freddo, ma di tornare a casa proprio non ne ha voglia. Preferisce la solitudine caotica di quelle strade al silenzio ordinato di casa sua.

Alle fine del primo tempo attraverserà la strada e andrà a mangiare qualcosa nella rosticceria di fronte, così magari si scalderà anche un po’, anche se il caldo di ottobre lo consola.

La sua sciarpa è giallorosa ed ha più di cinquant’anni e si vede. È la sua sciarpa invernale, quella che indossa quando arrivano i primi freddi, che la portinaia che lo aiuta nelle faccende di casa, ora che è solo, gliel’ha rattoppata così tante volte ormai che della lana originale c’è rimasto poco o nulla.

Forse agli anni non sarà sopravvissuto tanto tessuto originale, ma dentro quella sciarpa ci sono tutti i suoi ricordi più belli. Gliela cucì a mano sua madre quando era ancora giovane, lavorandola ai ferri, bella pesante, quando entrambi erano giovani, quando andava a vedere le partite allo stadio, quando prima della partita, sulle gradinate dello Stadio Nazionale, si pranzava tutti insieme. Panini con la frittata, un po’ di cicoria. Qualcuno con una salsiccia spaccata a metà. Niente di che. Eppure c’era quel prato fatto di gradoni e cemento armato dove tutti si sentivano a casa, dove ogni domenica la scampagnata era in città, era su quegli spalti.

I colleghi di lavoro gli hanno regalato una radiolina moderna, con le cuffiette. Se le infila, seleziona la frequenza con dita incerte e tremolanti. Trova la frequenza giusta. Le squadre sono in campo.

Si infila i guanti e si sistema bene la sua sciarpa. Inizia la partita.

Si confonde con la città, con la panchina di quel parchetto ben illuminato. Si concentra sulla partita. Qualche azione sotto la curva Sud, altre sotto la curva Nord. Forse non sarà così facile come tutti credono.

È talmente concentrato che non si accorge che qualcuno lo sta chiamando.

Vede due scarpe che si fermano davanti a lui. Crede che sia qualche ladro. Il suo primo pensiero è ‘Ora m’ammazzano’. Alza gli occhi di scatto e sopra quelle scarpe c’è un ragazzino, avrà diciott’anni, forse venti. Le sue labbra si muovono, ma nelle orecchie c’è la partita ed è tutto quello che sente.

Guarda quel ragazzetto che gli fa segno di togliersi l’auricolare. Sembra aggressivo, o forse è solo giovane e tutti i giovani lo sembrano.

Si toglie un’auricolare. ‘Questo m’ammazza perché non ho una lira da dargli’.

Il giovane invece gli sorride.

“Maestro” esordisce il giovane. ‘Forse non vuole ammazzarmi’, pensa. “Maestro, mi perdoni se la disturbo. Ascolta la partita?” chiede il giovane. Lui strizza gli occhi. Non ha capito la domanda. Non capisce dove vuole arrivare. Che gli interessa a lui?

Però gli sorride. Anche il Diavolo sorride, pensa.

“Si, ascolto la partita” risponde.

“Che fa la Roma?” chiede il giovane.

“È iniziata da dieci minuti, ancora zero a zero”.

“Grazie, Maestro. Senta, io non voglio disturbarla, ma sa, torno adesso dal lavoro e sto andando a casa a vederla. Lei sta qui da solo, perché non mi fa compagnia e ce la vediamo insieme?”

‘Ecco’, pensa il vecchio. ‘Questo mi ammazza a casa sua, comodo comodo’.

Lo guarda poco convinto.

“No, Maestro, guardi, ha capito male” . Il giovane capisce l’equivoco e ci ride su, con una risata di quelle belle, fresche, una risata sinceramente sorpresa, ma rispettosa. “Maestro, io esco ora dal lavoro. Devo torna’ a casa vedermi la partita co’ mi’ padre e mi’ fratello che so’ laziali e capisce, so’ in minoranza. Me farebbe piacere almeno esse pari a numero de sciarpette” e gli sorride.

Al vecchio scappa una risatina nervosa. ‘Non ho mai visto un derby con un laziale, forse è meglio che m’ammazzano’. Guarda quel giovane che sta tirando fuori una sciarpetta come la sua, con gli stessi colori. “Vede?” gli dice il giovane mettendosela al collo.

“Mi scusi, ho pensato male” gli dà del lei.

“Ma ci mancherebbe, Maestro”. Gli allunga la mano, si presenta. “Piacere” risponde il vecchio, che si presenta pure lui.

‘Ma si, al massimo m’ammazzano. Magari è pure meglio’. Si guardano.

“Grazie, ma non vorrei disturbarla”

“Maestro, venga, ce la vediamo al caldo, mangiamo qualcosa, vinciamo e poi a mi’ padre e mi’ fratello li famo sta zitti” gli fa l’occhiolino.

Il vecchio lo guarda. Si alza a fatica dalla panchina. Il giovane non l’aiuta, ma per rispetto. Lui apprezza.

Prende uno di quei telefoni moderni, cincischia con le dita sullo schermo e all’improvviso c’è la partita nell’aria, tra di loro, mentre camminano nella notte romana, quella notte da derby così fredda e anomala.

Ancora zero a zero. Un centinaio di metri e si fermano davanti a un portone. Il giovane citofona. “Ma’, so’ io, apri”. Uno scatto e sono dentro l’androne. Due piani di ascensore e sono sul pianerottolo.

“Venga, venga, Maestro, entri” gli dice mentre si infila nella porta.

Il vecchio non è più sicuro di quello che sta facendo. Sente il giovane che urla dentro casa, mentre è nell’ingresso che si toglie la giacca pesante.

“A papà, ho portato i rinforzi, n’amico che ho incontrato qui sotto, se non te dispiace”.

Qualcuno risponde qualcosa da dentro casa.

“Ma’ prepara un piatto in più che c’avemo ospiti”. Una voce femminile risponde qualcosa.

‘E mica potranno ammazzarmi con una donna in casa’ continua a ripetersi il vecchio.

Il giovane si volta e guarda il vecchio ancora sull’uscio.

“Maestro, venga che entra il freddo, s’accomodi”.

Entra, titubante. Arriva ad accoglierlo una signora sorridente. Lo saluta. No no, nessun disturbo, anzi. Me scusi del disordine. Gli dice cose del genere. Due passi e sono davanti una porta chiusa. Il vecchio resta un po’ perplesso. Si apre la porta. Dentro c’è una nuvola di fumo.

Entrano in una sala dove due sciarpe bianco azzurre sono appese al collo di quelli che dovrebbero essere il padre e il fratello del giovane.

È imbarazzato, il vecchio. “Papà, ora semo pari, ho portato un amico romanista”.

Il genitore guarda il vecchio, anche lui resta un po’ perplesso. Poi però si alza, gli sorride, un bel sorriso di quelli grandi, caldi, dove gli occhi dicono più delle labbra. stringe la mano, lo stesso fa l’altro figlio.

“Benvenuto, s’accomodi pure” e lo fa accomodare su una poltrona. “Ai convenevoli pensiamo dopo”. Ancora un sorriso, per farlo sentire davvero il benvenuto.

Si siedono e la partita è ancora sullo zero a zero.

Al vecchio non era mai capitata una cosa del genere. Si sente a disagio ancora per qualche minuto, ma la TV passa un’azione pericolosa che cattura la sua attenzione. È quasi gol. Qualche urla, qualche imprecazione.

‘Non me vogliono ammazza’ ‘, si rassicura e si rilassa un po’.

Finisce il primo tempo, qualche chiacchiera formale. Però si capisce che quel vecchio non è un barbone. È un uomo solo. Non se senta in imbarazzo, faccia come se fosse a casa sua, e altre cose così. La madre del giovane porta due pietanze in piatti caldi. Il vecchio ringrazia, ma non deve disturbarsi, davvero.

Ma nessun disturbo. Mangi che il secondo tempo inizia presto e via dicendo.

Il vecchio e il figlio mangiano. Gli altri hanno già fatto prima della partita.

La tensione si scioglie. Inizia il secondo tempo.

‘Ma pensa te’ si dice il vecchio, tra sé e sé. ‘Se la racconto in giro non me crede nessuno’.

Continua la partita, tutti si rivolgono a lui con rispetto ma con affetto. Si rilassa, si sente a casa. Un’altra azione pericolosa, una palla in area, dentro, un colpo di testa e una delle due passa in vantaggio.

Ci sono urla, qualche salto, c’è da sfottere un po’ gli altri. Ma è una famiglia, quella, si sfottono, ma non nessuno se la prende. È il gioco delle parti.

Un altro gol, subito, e un altro ancora, nemmeno il tempo di fermarsi a pensare. Finisce due a uno. Chi ha vinto festeggia. Gli altri due sono silenziosi. Lo sanno che sarà difficile domani, per strada, al lavoro, a scuola. Lo sanno che qualcuno sarà cattivo, pesante, com’è poi la vita reale. Stasera però sono a casa, ci si sfotte, va bene così.

Il vecchio si alza dalla poltrona, un po’ a fatica, ma ce la fa.

“Grazie dell’ospitalità, davvero”. Ringrazia tutti, la madre, il padre e i due fratelli che sono tutti in piedi e lo guardano. Ma si figuri, ha fatto solo che piacere, è il benvenuto quando vuole e tutto il resto.

Al vecchio si inumidiscono un po’ gli occhi. Il giovane gli stringe la mano. “Maestro, grazie della compagnia”.

Lui ringrazia ancora, per la centesima volta e va via di fretta. Ma non perché abbia fretta, ma perché sono anni che non piange più e non vuole farlo davanti a loro.

Quel Derby se lo ricorderà per tutta la vita, per tutta quella che gli rimane da vivere.

Arriva in strada e si sistema bene la sciarpa intorno al collo. Fa qualche passo lento, come tutti i suoi passi, del resto, finché arriva sulla panchina dove si era incontrato con il giovane. Ci si siede un attimo. Non fa poi così freddo, anzi, la notte di quest’inizio d’autunno è quasi piacevole, accarezza l’anima.

Gli va di ascoltare un po’ di dopo partita, mentre ripensa a quello che è successo. Riaccende la radiolina, si mette le cuffiette e cerca una stazione radio. Nelle sue orecchie qualcuno parla di un rigore non dato, un altro di un fuorigioco che non c’era e via dicendo.

Quel tepore dell’ottobrata romana è davvero piacevole e nemmeno si rende conto di essersi assopito. Si risveglia di scatto, con il clacson di un bus di quartiere che gli rimbomba ancora nelle orecchie, più forte della radiocronaca.

La radio parla di auto nuove da comprare, di sconti incredibili da non poter farsi scappare e torna il collegamento. Si è infreddolito parecchio. Sarà pure un autunno caldo, ma a star fermi fa freddo, eccome se lo fa.

Si guarda intorno. Si è addormentato come fanno i vecchi, improvvisamente. Si stropiccia gli occhi. È tutto intero, nessuno lo ha aggredito, ha ancora il portafogli e quel vecchio telefonino che avrà dieci anni di vita.

Guarda la rosticceria dall’altro lato della strada. Gli è venuta fame. Si alza dalla panchina un po’ a fatica. Quella trovata geniale di stare fermo al freddo e all’umido per un’ora la sconta sulle sue articolazioni. Si sgranchisce le gambe e le braccia.

Mangerà qualcosa in rosticceria, qualcosa di economico, e poi se ne andrà a casa.

Attraversa la strada con cautela e si infila al caldo del locale.

Dalla radio intanto arriva una voce familiare di un radiocronista. Racconta quello che è successo, di come sta andando la partita.

Ordina due supplì. C’è qualcosa che gli gira in testa, come fosse un ricordo sfocato che non riesce a fare suo.

“Maestro” gli dice una voce. Lui si gira. Il rosticciere lo guarda. “Le porto qualcosa da bere?”

“Da bere no, grazie”

Si siede ad un tavolino unto e sporco. Gli portano il piatto con i due supplì. Inizia a mangiare, con molta calma. Ha bisogno di riscaldarsi un po’.

Maestro. Erano anni che nessuno lo chiamava più così. Sorride amaramente.

Alza il volume della radiocronaca. Sta iniziando il secondo tempo di una partita che non è come le altre, non lo sarà mai, anche se lui, come tutte le altre volte, l’ascolterà alla radio, solo con le sue cuffiette e i suoi ricordi.

Allenta un po’ la sua sciarpa di lana pesante, si guarda le mani che vanno verso il piatto e dopo un mezzo sbadiglio si dedica ai suoi supplì.

**

Daniele Germani

Seguimi anche su

  • Facebook
  • Twitter
  • Instagram

Dal blog personale

  • Presentazione di “Polvere” sulla pagina di Libramente Caffè Letterario 23 giugno 2020
  • Azzurra Sichera di “Silenzio sto leggendo” recensisce COME ELIMINARE LA POLVERE E ALTRI BRUTTI PENSIERI 22 giugno 2020
  • 19/05/2020 h 18.00 in diretta su Book Advisor con Cinzia Orabona di Prospero / Enoteca letteraria 18 maggio 2020

Polvere e brutti pensieri su Facebook

Polvere e brutti pensieri su Facebook

Seguici anche si Twitter

I miei Cinguettii

WordPress.com.

Annulla

 
Caricamento commenti...
Commento
    ×
    Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie.
    Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Informativa sui cookie