Il secondo libro di Daniele Germani, genovese d’adozione
COME (NON) ELIMINARE I BRUTTI PENSIERI. UN ROMANZO SUI CONFINI DELLA FOLLIA UMANA
È un romanzo, ma sembra un concentrato di sedute dallo psicologo, perché ti costringe a chiederti chi sei e dov’è il confine tra follia e normalità. Dove lo metti tu, dove lo mettono gli altri e se e quanto coincidono. E una risposta già c’è: quasi mai. A essere ottimisti.
Chissà se Daniele Germani, con il suo “Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” (Spartaco Edizioni, 12 euro, 182 pagine), ha preso in prestito la formula di Nick Hornby di “Come diventare buoni”: un libro che nel titolo ha la parola “Come” fa vendere di più perché la gente ama sentirsi dire come fare una cosa, qualsiasi cosa.
Il controsenso è che Germani ha scritto un romanzo che non ha la struttura classica di un romanzo e non ha nemmeno l’ambizione e la supponenza di dirci come fare qualcosa, qualsiasi cosa. È piuttosto un flusso di domande e pensieri dei protagonisti che ti costringono a fare la stessa cosa, a entrare nel libro, ma ancor più spesso a uscirne, riflettere su quel che si legge e – ancor più strano – quel che non si legge.
Sono i nostri pensieri, le nostre domande. Perché i percorsi dei personaggi principali costringe a fare i conti con se stessi, non fosse altro per come vengono presentati, un uomo, una donna, un Pazzo, con quell’articolo determinativo che lascia tutte le strade aperte. Chi di noi almeno una volta non ha pensato di essere o diventare pazzo?
Un personaggio, il Pazzo, che vive a cavallo della Legge Basaglia, facendoci vedere la vita di un uomo finito dentro un manicomio e poi allo stesso modo risputato fuori, un personaggio che non mette filtri tra sé e il lettore, dandogli del tu e permettendo a Germani di indossare la maschera adatta, che gli permette di dire verità e sgradevolezze che in bocca ad altri personaggi creerebbero un immediato distacco.
Ad esempio: “In vent’anni ne ho conosciuti tanti che erano stati messi dentro da qualcuno della propria famiglia, perché la torta lasciata da spartire sarebbe stata troppo piccola se divisa in troppi”, oppure “Io non so che fine abbiano fatto tutti quelli che sono usciti da lì, so solo che non tutto va sempre come deve andare, che non tutti siamo speciali e che qualcuno deve pur pagare il conto”.
Ci sono poi le fissazioni: una nota stonata, un pugno sul naso, l’odore di gelsomino, una sonata di Schumann. D’altronde chi non ha da qualche parte, in superficie o nel profondo, la sua goccia d’acqua che gli batte nel cranio, che lo tormenta, che lo accompagna? Chi non ce l’ha alzi la mano.
Si parla ancora di Morsi e, come per MangiaLibri (—> http://t.ly/xmY09 ), su CrunchEdCome eliminare la polvere e altri brutti pensieri – Romanzo conquista il massimo dei voti, con ben 5 morsi.
Anche CrunchEd non si fa problemi a stroncare grandi autori, qualora fosse necessario, quindi questo apprezzamento è decisamente importante.
Grazie a Elisa Marchegiani per la bella recensione.
Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri | Daniele Germani
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Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri.
Qual è il confine fra realtà e follia? Cosa o chi ci definisce Pazzi, Folli o Normali?
Queste e davvero molte altre domande affollano i miei pensieri da quando ho finito di leggere “Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” edito da SpartacoEdizioni.
Daniele Germani ci fa viaggiare dentro la mente umana attraverso i movimenti di tre personaggi in un periodo storico importante: la legge Basaglia e la chiusura dei manicomi. E lo fa abilmente.
Conosciamo il prima: la vita nell’Istituto, i trattamenti ricevuti, l’omologazione e l’indifferenza.
Immaginiamo e viviamo anche il dopo, attraverso le parole di uno dei pazzi al suo interno.
“Loro dicono liberi, ma oggi io dico abbandonati. Chi è stato fortunato come me è tornato a casa, perché io una cosa ce l’ho. Altri sono rimasti per strada. Alcuni non avevano nessuno, altri ce l’avevano ma non sarebbero andati a prenderli. Altri ancora, quelli proprio gravi, quelli che avevano sempre preso botte, che avevano la testa nel secchio un giorno sì e l’altro pure, li trasferirono in qualche posto, migliore, dicevano.”
Ma il libro non è solo racconto introspettivo/di moto, angosciante/di conferma, triste/di stasi; c’è molto di più e lo scopriamo viaggiando dentro la sua testa, attraverso delle costanti, tutti i matti ne hanno no?
Il primo punto fermo è un odore prepotente. Quello di gelsomino.
“Il profumo sembra occupare spazio e, quasi come fumo denso, invade aria e narici, penetra nei pensieri, li addolcisce, rendendo tutto più morbido, rilassante.”
Ci sono delle note stonate circondate da domande. Ci sono domande più importanti delle risposte e delle risposte definitive per la ricerca della “normalità” o la fuga da essa.
“C’è questa nota stonata che si ripete ogni tanto, è quasi ritmica, prende e leva. Sembra un jazz suonato male da diventare quasi logico, quasi buono… Improvvisamente tutte le altre note diventano fuori partitura, cadono in un unico fragore…ti manca il respiro e pensi che sia un attacco di panico, ma non lo è, no, è solo un rigurgito acido di consapevolezza…Provaci, a voce alta, chieditelo: «come faccio a eliminare la polvere e i brutti pensieri?» Bravo.”
C’è la musica. Ci sono i protagonisti senza nome ma con delle definizioni: il pazzo, la donna, l’uomo, il professore, il vecchio.
Ci sono molte storie che si racchiudono in una e una storia che ne raccoglie molte.
Sì, perché questo non è solo un romanzo ma un percorso attraverso gli occhi, le sensazioni e soprattutto i sogni di chi di vite ne ha vissute molte e magari per noi sembra non averne vissuta alcuna.
È tanto facile e coinvolgente leggere questo libro quanto difficile parlarne, senza svelare trama e rovinare tutto e un po’ mi spiace.
Un libro forte, diretto, non banale. Pieno di spunti di riflessione e frasi che avrei voglia di salvare e condividere al posto di scrivere questa recensione.
Perché nella follia non ci ritroviamo forse tutti? Non abbiamo tutti delle note stonate che ci fanno fermare, ricapitolare, perdere?
Chi è il pazzo e chi è il normale in una società come la nostra, ancora piena di stereotipi, dogmi, egocentrismi e deliri di onnipotenza? In una società fugace, disattenta? Chi davvero sa come vivere e seguire i propri istinti, correre a vedere il mare, ricominciare a suonare il pianoforte o rincorrere un vecchio amore?
“No, non siete speciali, perché voi vivete una vita sola ed è facile sbagliare strada e perdersi, soprattutto se si è soli. lo ne ho vissute tante, invece, ed erano tutte vere ed erano affollate di persone che amavo. Forse sono solo polvere e brutti pensieri, si, ma almeno è una polvere che vale la pena di essere vissuta e sono brutti pensieri che meritano di essere accuditi.”
Il mio consiglio è di leggere questo libro e cercare quel pizzico di follia che avete dentro, coccolarlo e assecondare quei piccoli granelli di polvere che avete in testa e che vi rendono speciali.
Se non altro per scoprire se è vero, come scrive Daniele Germani, che gli altri sono Pazzi solo perché siamo noi a voler essere sani; per darci la possibilità di avere un altro inizio, un’altra meta, potersi perdere ancora, e di nuovo.
A differenza delle altre recensioni,Giuditta Legge propone un punto di vista molto originale per invitare alla lettura, ovvero 10 buoni motivi per NON leggere.
Ecco a voi i 10 buoni motivi per NON leggere “Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri”
1 Perché la diversità fa paura e ti mette spalle al muro, meglio non pensarci.
2. Perché 180 pagine di polvere e brutti pensieri potrebbero dare una scossa al tuo sistema nervoso.
3. Perché a volte ti fermi, ti assenti, ti distrai, ti incanti su una nota stonata, e alla fine ti accorgi che quella nota stonata sei tu: un libro che ti dice questo può essere urticante.
4. Perché questa storia profuma di gelsomino e sei troppo assuefatto allo smog.
5. Perché uno dei personaggi è convinto che le Gymnopédies di Satiè siano state create per accompagnare quello che resta del giorno dopo la pioggia, e questo è un pensiero dolcemente malinconico.
6. Perché parla di manicomi, di pazzi e delle nevrosi della vita contemporanea.
7. Perché lo stile di uno scrittore emergente è imprevedibile, richiede concentrazione, è camminare con i piedi nudi su una spiaggia di ciottoli piuttosto che infilarsi nelle pantofole vecchie e comode di qualche autore di bestseller che scrive ormai a memoria.
8. Perché i personaggi non sono tanti però ci sono diversi colpi di scena e questa cosa può infastidire chi pensa che la lettura concili il sonno.
9. Perché il suo primo romanzo è andato bene e all’autore non vuoi dare la soddisfazione di sfondare con il secondo.
10. Perché una volta che hai eliminato tutta la polvere e tutti i tuoi brutti pensieri, poi che cosa ti resta?
Questo è un romanzo che non si può raccontare. Lo puoi attraversare, passarci dentro e sentirlo piano, perché fa male. È la storia di una donna, di un uomo e di un pazzo. Senza nome. Il racconto della nostra vergogna e di tutto ciò che abbiamo preferito lasciare sul fondo, scomodo, complicato, eccessivo, emotivamente poco raccomandabile. La nota stonata di una melodia che stride e si incanta sul terreno accidentato di una gigantesca rimozione. E ci sono grida silenziose là sotto, parole di burro, denti stretti, membra offese, bolle di sapone nello stomaco, notti di ferro e acqua nella testa. E un olezzo invadente di morte e dolci ossessioni, portato dai gelsomini.
Il Pazzo è tutti e nessuno, ombra al litio di se stesso e caleidoscopica presenza-assenza, il buio alle otto di sera per vent’anni. A sciogliersi sul fondo di quelle vite che si rincorrono e che da sempre gli appartengono. E gliele vogliono portare via, razza di stolti per davvero. La donna è madre e moglie, in realtà avrebbe voluto solo suonare il pianoforte. L’uomo vive con il vizio di farsi domande, nel desiderio frustrato di comprendere ed essere compreso e nell’attesa biblica di un gesto mai arrivato. Nel frattempo gli si è marcito tutto lo spartito, o poco ci manca.
Germani mette in fila esistenze di reclusione al palo di una routine omicida che ha sterminato velleità, desideri e speranze, generando un mare di rimpianti. Anime sbagliate, sottovoce perché matte, matte perché sottovoce. Vittime sacrificali e catatoniche della società incivile e di un’istituzione totale che li ha condannati all’orrore e alla reclusione fisica, mentale, identitaria. Improvvisamente liberi in nome della legge Basaglia, infine abbandonati al proprio destino e dimenticati. Diversi, soli, malati, impulsivi, fragili, sentimentali, poveri, omosessuali. Non sono mai stati al mare, hanno avuto figli, mogli e mariti. Hanno comprato un’automobile, studiato chimica, progettato ordigni, interrotto gli studi, cucinato una catarsi (im)possibile, ululato alla notte che non ha portato consiglio. Sono morti, in un giorno d’inverno. Succede che quello che c’è dentro, là fuori nessuno lo vuole vedere. Ma chi sono allora i pazzi?
Isolamento, incomunicabilità, mancanza di empatia, alienazione. Ed ecco che il privato diventa sociale, il piccolo grande, il singolare collettivo. Ecco che i piani si confondono, e i volti sfilano e si danno il cambio senza soluzione di continuità e Germani li accompagna con tutto il rispetto, la precisione e la delicatezza di chi si è messo in ascolto e ha braccia grandi. Perché la polvere della follia non te la puoi levare di dosso, resta attaccata come una seconda pelle, tipo quella del cruscotto della macchina o quella invisibile della fabbrica che scarica sulla città, magari mentre dormi, così non te ne rendi conto. E va conservata, resta tutto ciò che hai.
Vorace nei dettagli e fatalmente sinestetico, questo romanzo mette a nudo un tragico turbamento, lavorando con l’accetta al disvelamento inesorabile e profondo di opinioni e codici, articolati in tutta la loro criticità e ridotti all’osso dell’inadeguatezza. Si spinge senza paura negli abissi della luccicanza, solleticando un colpevole imbarazzo, e ci lascia qui, a rifarci il senno, tremanti nelle nostre certezze, a riflettere su tutti quei pregiudizi di sanità e conformità che regolano i meccanismi relazionali, indotti, giudicanti e folli per davvero.
Erika Di Giulio
Titolo: Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri
Alcune recensioni sono tecniche, altre svogliate, certe recensioni rivelano troppo della storia e ce ne sono alcune confuse, che forse non parlano neanche del testo in questione.
Quella di Lucrezia di Sotto la copertina è invece un gioiello. Per “Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” è la seconda recensione di altissimo livello. Lucrezia ha letto in tanti dettagli nascosti la vera natura del testo. Grazie Lucrezia
#JUSTREAD ✍️ – Recensione di “Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” di Daniele Germani 🙍♂️🙍🤯
Sarà capitato anche a voi: a volte, nelle nostre letture si creano delle consonanze che rendono ogni libro l’anello di una sola catena. Di recente vi ho parlato de La notte dell’uccisione del maiale di Magda Szabó (Edizioni Anfora) come di una detective story in senso lato: indizi disseminati nel corso dell’intreccio che dipingono in triste quadro finale.
In Come eliminare la polvere e altri brutti pensieridi Daniele Germani (Edizioni Spartaco) si verifica qualcosa di simile: storie che corrono su binari paralleli, dirette verso la stessa destinazione senza (apparentemente) incontrarsi mai. Seguiamo le vicende di tre protagonisti accomunati da un senso di sconfitta.
Si rese conto che le restituivano l’immagine che lei aveva di se stessa. Si chiese se anche gli altri si vedessero così deformi, così lontani dall’idea che avevano costruito di se stessi e della loro vita. Forse si contraevano ed espandevano a seconda della grandezza del loro fallimento.
Ringraziamo ancora la casa editrice per averci permesso di leggere questo romanzo!
C’è una donna, ormai non più nella prima giovinezza. A causa di una gravidanza inaspettata e indesiderata e delle pressioni di fidanzato e parenti, ha dovuto abbandonare l’idea di laurearsi e ormai da lungo tempo è imprigionata in una servile esistenza casalinga, circondata da una famiglia ingrata che a malapena fa caso a lei. Tra i suoi amori perduti, quello per la musica del pianoforte: uno dai tanti privilegi che ormai le vengono negati.
C’è un uomo, anche lui sposato, anche lui invischiato in un matrimonio senza amore; un uomo che non ha mai visto il mare, e nella cui testa c’è una nota stonata che lo sta facendo impazzire. Nella sua mente si affollano domande, giuste e sbagliate. Quella fondamentale?
Come faccio a eliminare la polvere e i brutti pensieri?
E poi c’è un pazzo. Che sia un uomo, piuttosto che una donna, non importa: ciò che conta è il male che lo affligge, un male nato e cresciuto in tanti anni di manicomio, di soprusi; fino a che la legge Basaglia del 1978 gli regala una libertà illusoria, che lui sceglie di vivere da prigioniero nello scantinato di un padre che odia e, a sentir lui, da cui è ampiamente ricambiato.
Tre vite che, nel silenzio di una grigia città priva di punti di riferimento, ticchettano silenziosamente come il timer di una bomba: ciascuna di esse, a modo suo, è arrivata al punto di rottura.
Per la donna è la possibilità di lavorare in un negozio di strumenti musicali, di poter di nuovo pigiare i tasti di un meraviglioso pianoforte intonso da polvere e da brutti pensieri; per l’uomo, è quella nota stonata che minaccia di rompere ogni sbarra della sua prigione, di fargli compiere azioni che deraglino dai suoi binari; e il pazzo… Beh, il pazzo è sul punto di compiere l’atto supremo, un atto che avvicina l’uomo a dio.
Personaggi che popolano uno stesso universo. Le stesse strade anonime, lo stesso negozio di strumenti musicali, la stessa scuola, o istituto. Ci sono consonanze, nelle loro esistenze, che ti fanno chiedere se l’uomo e la donna non siano in realtà marito e moglie; se il pazzo sia lo stesso che ha aggredito la consorte dell’uomo senza nome, lasciandole in eredità un perpetuo naso rotto. Eppure c’è una nota stonata, i pezzi del puzzle non combaciano mai abbastanza da formare un’immagine nitida… prima che essa ti esploda in faccia in un modo in cui non ti aspetti.
Non vi svelo altro della trama: vorrebbe dire andare contro le intenzioni dell’autore, contro il gusto investigativo del libro stesso. Un’indagine che non è confinata al lettore: i personaggi, l’uomo e la donna, si fanno domande (quelle capaci di distruggere muri e confini della loro psiche). A possedere le risposte sembra essere il pazzo.
Figura emarginata dalla società, se prima era separato da essa da alte mura di cemento e un oscuro oblio, una volta fuori rimane circondato da un invalicabile fortezza di imbarazzo e paura. La pazzia ieri si scontra con la pazzia oggi: quanto è cambiato e quanto è rimasto invariato nel corso degli anni, dopo una cesura così importante, almeno sulla carta, come la legge Basaglia?
Legare i pazienti come lui gli aveva sempre fatto risparmiare parecchio tempo. Ora la legge lo impediva. A dire il vero lo aveva sempre vietato, ma negli ultimi anni alcune leggi garantivano ai pazzi o ai fuori di testa, alcolizzati e drogati che fossero, lo stesso trattamento sanitario riservato agli altri, e lui si era dovuto adeguare. […] Fece rapidamente il contro di quante persone aveva spedito in manicomio nei suoi trent’anni di carriera solo perché avevano mostrato gli stessi sintomi di questo tizio. Ora non poteva più. Ora doveva curarle.
Scese per un sottopasso. Imboccò quel corridoio lungo e buio dove, nascoste alla vista degli abitanti della città, vivevano le creature scartate dal mondo civile. Senzatetto, qualche matto, eroinomani e spacciatori se ne stavano rintanati il più possibile e da sopra nessuno li avrebbe costretti a trasformarsi in cittadini. L’accordo sembrava funzionare.
I matti restano matti, anche fuori dai manicomi: per molti, la chiusura delle istituzioni ha significato semplicemente passare da uno stato di abbandono e abuso (raccontato nei suoi dettagli più crudi) a un altro.
All’improvviso eravamo liberi. Già. Ma liberi da cosa? Noi avevamo solo bisogno di non dormire nella nostra merda, di avere qualche medicina agli orari giusti, di non venire picchiati per qualsiasi cosa. Non avevamo bisogno di essere liberi. Avevamo bisogno di essere curati. Loro dicono liberi, ma io dico abbandonati. Chi è stato fortunato come me è tornato a casa, perché io una casa ce l’ho. Altri sono rimasti in strada. Alcuni non avevano nessuno, altri ce l’avevano ma non sarebbero andati a prenderli.
Soprattutto, esiste un caleidoscopio della pazzia: ce n’è indotta da soprusi e libertà negate. E una percepita dagli occhi degli altri.
Forse questo non vi è chiaro, i matti sono matti quando sono fuori, quando sono in giro, quando sono a contatto con voi che siete normali.
Se questo libro parla di pazzia e di cura (nelle sue sfumature più oscure: per esempio cura cercata per liberare la società da un peso inutile o sfruttata come mezzo per guadagnarsi gratitudine, notorietà e prestigio) parla anche di noi, dei cosiddetti “normali”.
Lo psichiatra, neurologo e docente Franco Basaglia, promotore della riforma psichiatrica nel nostro Paese e ispiratore della Legge 180 del 1978, che decretò la chiusura dei manicomi.
I normali non sono altro che coloro che non escono dalla linea tratteggiata dal buonsenso comune. Eppure, in un modo o nell’altro, più o meno apertamente, non finiamo tutti per debordare da quei contorni, anche solamente nella solitudine del nostro animo?
Fuori la gente sana pensava che in fin dei conti ce l’eravamo cercata a non nascere uguali a loro.
E quando accade, quante volte anche solo l’istinto di rompere regole spesso automposte diventa un segreto che ci pulsa dentro finché non esplode o soffoca lì dove è nato?
Era arrivato il momento di cercare un pazzo che un tempo aveva preso a pugni sua moglie e capire se anche lui avesse sentito quelle note tutte stonate prima di iniziare a malmenare la gente per strada. Doveva capire se anche lui si sarebbe presto trasformato in qualcosa che fino a qualche tempo prima era semplicemente della polvere da mettere sotto un tappeto della società moderna, da rinchiudere in un manicomio, anche ora che i manicomi non esistevano più. Era ora di andarsi a guardare allo specchio.
La pazzia è allora quell’universo che sta al dilà dello specchio in cui il normale si riflette ma non osa guardarsi. Ed il timore del diverso è uno dei temi portanti della narrazione. La paura che si prova per chi ostenta, volente o nolente, la propria alterità non è altro che l’estrema conseguenza delle barriere che ci separano dagli altri, più o meno sconosciuti. Non è vero che ci trascuriamo a vicenda solo perché il tempo scorre veloce e ne abbiamo poco da dedicare a chi ci sta attorno; a volte, ignorare è una scelta.
Camminando rapidamente per quel corridoio buio, abbassò lo sguardo e cercò di concentrarsi soltanto sulla luce in fondo, stando attenta a non calpestare siringhe e marciume. Soprattutto stette attenta a non incrociare lo sguardo di nessuno.
Il dolore altrui fa paura; e fa paura il pensiero di essere osservati, di essere sorpresi a mostrare un’emozione, salvo scoprire che non c’è nessuno a guardare perché nessuno vuole vedere. E questo è accaduto tanto ai margini della società, nei manicomi come nei campi di concentramento (il parallelismo è evidente), quanto per strada o al supermercato, o persino tra le mura domestiche.
Ti viene da piangere , è un attimo, ma ti rifiuti, perché non puoi farlo in mezzo alla gente, non puoi piangere mentre hai il mondo intorno che ti guarda, anche se poi in verità non ti guarda nessuno.
Non c’è vicinanza, tra i personaggi di Germani. Le famiglie sembrano conglomerati finiti insieme per caso, nuclei funamboli su reti sfilacciate di convenzioni sociali e mancanza di alternative. Le famiglie sono anche quelle che ti spediscono in manicomio per non dividersi un’eredità. I padri picchiano i figli, i figli non rispettano i genitori che invece li amano.
I sentimenti invecchiano e muoiono rapidamente, e restano le conseguenze, sentenze da scontare col sorriso sulle labbra. Non ci si comprende, perché si pensa di farlo già; e si pensa di farlo già perché ci si rifiuta di guardare davvero. E si parla sottovoce, come in manicomio, perché esprimersi è un crimine che si paga caro. Con l’incomprensione e la solitudine e, in casi estremi, con la violenza e l’abuso, in ognuna delle loro molteplici forme.
Pensi di aver contato per qualcuno, per uno spruzzo di vita in una notte di speranze, quando credevi ancora alla nobiltà del gesto, quando credevi che il futuro fosse un evento prevedibile da poter modellare a tuo piacimento.
C’è una quarta presenza che permea tutto il libro, in una forma o in un’altra, in ogni capitolo. Una presenza che si adagia addosso e si attacca, si respira e si beve, si posa a terra o danza nell’aria: la polvere. Una creatura che ha quasi vita propria, una persecutrice. Che cosa sia questa polvere è la domanda fondamentale a cui si cerca di dare una risposta. Ed è possibile eliminarla?
Non vi dirò che cos’è la polvere, dovrete scoprirlo leggendo. Se vorrete farlo. Anche perché solo leggendo, potrete capirlo. Ma posso darvi uno spiraglio su quell’ultima questione, che è anche la prima: è possibile eliminarla?
Non dalla vita di tutti i giorni, o così pare. Solo il pianoforte, nel libro, è intonso, tanto che ci si può specchiare sulla superficie nera. Infinito come il cullare delle onde, o il momento di un’esplosione.
E se non si può eliminare, con la polvere ci si adatta a conviverci, ognuno a modo suo. Il sano e il malato, il reale e l’immaginario ci fanno i conti; ci si adatta, in modi più o meno ortodossi, più o meno benaccetti dalla morale comune. In questo senso, obietta il libro, anche la malattia è un meccanismo di adattamento; curare per forza, curare in maniera ortodossa, allora, vuol dire togliere all’individuo la sua unica arma di difesa contro il mondo.
Un’argomentazione controversa, con cui si può essere più o meno d’accordo. E la domanda potrebbe non essere quella giusta: quel “come” potrebbe dover diventare un “se”.
Tiriamo le fila, dunque: che cos’è Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri?
Un libro che parla alle nostre paure e alla nostra vergogna, paura e vergogna che non sono solo emozioni innate ma anche comportamenti acquisiti. Un libro che sfida la percezione comune di buono o cattivo e di giusto o sbagliato, con una prosa che oscilla paurosamente tra l’alto e il basso (a volte troppo), così come sentimenti e fatti descritti. Una miccia per far esplodere delle domande in testa, quelle che spesso non vogliamo farci.
Un libro che va letto con attenzione, per cogliere i dettagli, lì dove si nasconde il diavolo, come si dice. E felicemente consigliato.
Come Eliminare La Polvere E Altri Brutti Pensieri è un romanzo articolato, come sviluppato su più livelli e molto molto affascinante.
Il 13 maggio 1978 la legge n.180, la Legge Basaglia, in tema di “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, fu la prima e unica legge che impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio.
Una svolta epocale, quando finalmente e definitivamente mutò l’approccio alla “diversità”.
In Come Eliminare La Polvere E Altri Brutti Pensieri uno dei protagonisti vive parte della sua vita, mentale e relazionale, all’interno di un manicomio.
Un luogo di totale isolamento, nonostante la quantità di gente che ci sta al suo interno, un luogo di incomprensione, chiusura, solitudine e altri mondi.
I mondi della mente, i mondi che ci si costruisce per darsi dei perché…
Molte sono le minuziose descrizioni delle condizioni disumane in cui erano tenuti e mantenuti dentro le gelide mura. Come venivano trattati, e non trattati era qualcosa di desolante, che non poteva certo portare, e non era quello l’obiettivo, a nessun tipo di miglioramento clinico.
Come Eliminare La Polvere E Altri Brutti Pensieri se vuoi lo compri QUI
Ma altri sono i personaggi di questo romanzo sul “senno”.
“Una donna, un uomo, un pazzo. Lei ha un rimpianto, aver lasciato il pianoforte e la musica per dedicarsi al marito e ai figli. Lui è ossessionato da una nota stonata, che gli risuona nella testa e non gli dà pace. Il folle sta preparando una bomba, per annientare il padre che non l’ha mai accettato.”
Tutti e tre i protagonisti hanno delle vite che non gli si addicono, sono pieni di dubbi, rimpianti, soprattutto hanno tutti la certezza che quella che stanno vivendo non sia la loro vita, quella che volevano.
Neanche lontanamente… e questo li logora voracemente.
Ma i “malati di mente”, i pazzi, esattamente chi sono? In cosa sono diversi dalle persone “normali”?
Questo libro è diretto, mai eccessivo, e solleva in noi delle domande.
Mi è parso come una buona tisana calda in un pomeriggio d’inverno, la sorseggi lentamente, senza fretta, intanto ti fai domande, e il solo ragionare ti fa star meglio.
COME ELIMINARE LA POLVERE E ALTRI BRUTTI PENSIERI – SPARTACO – 2019
Nel corso del programma radiofonico Radioquestasera, in streaming su PuntoRadioFM, ho avuto il piacere di chiacchierare con Gianluca Garrapa del mio secondo romanzo “Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” e di altre cose molto interessanti.
Si potrebbe dire che una delle grandi protagoniste del romanzo è la pazzia, ma io ci terrei a dire che forse, lo è anche l’atteggiamento della società nei confronti delle persone ritenute diverse.
Ci sono tre personaggi, l’uomo, la donna e il Pazzo. Non è stato subito chiaro cosa legasse queste persone, ci ho messo un po’ a capirlo perché all’inizio mi sono decisamente concentrata sull’ultimo: il Pazzo. Ad interessarmi soprattutto è tutto il contorno: sono i primi anni Ottanta e la Legge Basaglia è già entrata in vigore: i manicomi vanno chiusi e le persone abbandonate al proprio destino. La vita all’interno dell’istituto, istituto in cui venivano rinchiusi davvero pazienti con malattie mentali serie, e altri solo perché diversi, omosessuali, rinnegati, non è per niente facile. La violenza è all’ordine del giorno. Chi mangia con la camicia di forza addosso, chi viene punito con la testa nel secchio (e da quel secchio non riemergerà mai), chi è costretto a sentire le urla, chi le botte… lo scenario è quello da film dell’orrore. Quando cominciano i lavori nella casa di cura si accende una speranza: i pavimenti finalmente puliti, le pareti ritinteggiate, la luce che irradia i corridoi lucidi e silenziosi. Ma quell’ illusione di umanità si trasforma presto in una condizione di abbandono che ci stringe il cuore:
Forse non ci stavano mandando via, forse avevano capito che avevamo solo bisogno di tranquillità, di serenità, di non prendere bastonate per ogni cosa, di non avere la testa immersa in secchi di acqua gelida e soprattutto di non morire senza motivo. … Non avevamo bisogno di essere liberi. Avevamo bisogno di essere curati. Loro dicono liberi, ma oggi io dico abbandonati.
Chi aveva la fortuna di avere una famiglia alle spalle è tornato a casa, e io non saprei dire se è stato un bene o un male. Chi invece non aveva nessuno… beh, si è ritrovato in mezzo a una strada, abbandonato appunto. Questo non è un romanzo, queste sono scene realmente avvenute e Germani ci restituisce le sensazioni, le paure delle persone che si sono ritrovate a vivere in una condizione simile: prima maltrattate poi dimenticate.
Qui il linguaggio è crudo, le immagini sono forti: siamo nella testa di un pazzo (davvero lo chiamiamo ancora così?) e niente viene filtrato. Ma… quando siamo immersi in questo scenario, tra urla di pazienti, pillole che cadono e vengono inghiottite insieme allo sporco, il tintinnio delle sbarre, i lividi sulla pelle… abbandoniamo tutto e seguiamo i frammenti di vita degli altri due personaggi, così diversi dal Pazzo, così eternamente legati lui.
Sono due personaggi pieni di rimpianti , sono tutti venati di malinconia. Hanno qualcosa da rimpiangere: la donna sogna di tornare a suonare, l’uomo si pente di assomigliare così tanto ai suoi vestiti: grigi e spenti. Ed è così che gradualmente abbandoniamo il clima di terrore della casa di cura e pensiamo irrimediabilmente alle nostre vite, per dirla con l’autore “C’è ancora tanto da scrivere”, anche e soprattutto per noi.
Il Pazzo non vuole dire addio ai propri granelli di polvere, sono l’unica cosa reale della sua vita. Sono i suoi compagni di viaggio, il suo porto sicuro… la sua malattia. Qui reale e immaginario si fondono, si mescolano, si confondono fino a non farci più capire cosa sia reale e cosa no.
Ho scoperto che il tempo si piega nei ricordi e non nelle ferite che la vita ti ha inflitto. Quelle restano, si trasformano, diventano alibi e verità manomesse dalle circostanze. Le mie, di circostanze, erano le più vere bugie che mi fossi mai detto, le menzogne più reali che nessuno mi avrebbe mai e poi mai potuto contestare.
Sono queste le parole di un ragazzo rimasto rinchiuso per vent’anni in un manicomio, mal curato (e forse non curato abbastanza) che rivendica la propria identità, che passa necessariamente da emozioni e sensazioni provate fino ad arrivare a quel rovesciamento della prospettiva che rischia di sconvolgerci perché mina le nostre certezze:
Cos’è il vero? Come fate a essere certi che il reale sia quello che state vivendo? Voi ora, adesso? Chi può assicurarvelo? Come fanno a essere false certe emozioni che ho provato?
Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri è…
Un libro ricchissimo. E’ una denuncia, la vita all’interno di alcune di quelle case dell’orrore rispecchia la realtà. Un orrore che si riflette nei comportamenti di una società giudicante e disinteressata nei confronti del diverso. E’ un libro malinconico, perché vorremmo abbracciare questi personaggi schiacciati dal peso dei ricordi e incapaci, all’apparenza, di trovare una nuova via. Ci sono tante cose in questo libro che ci riguardano. Non importa quanto distante sembri da noi la storia, in realtà parla con noi, di noi. E io alla domanda del Pazzo non so rispondere, perché la sua verità dovrebbe valere meno della mia? E se lui avesse vissuto mille vite ricche di emozioni, avrebbe vissuto meglio di chi si è accontentato? Meglio di chi narcotizzato ha percorso lo stesso tracciato ogni giorno della sua esistenza? Ecco… se, se, se e ancora se.
Consigliato per chi ha voglia di una lettura tagliente, sfaccettata, profonda. Mettetevi in gioco perché Come eliminare la polvere e altri pensieri è un viaggio che vale la pena intraprendere, lasciando un po’ di certezze a casa.
“Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri: la nota stonata.
A pensarci bene sarebbe stato il caso di inserire un titolo decisamente più valido e sensuale, ma WordPress ha le sue piccole pecche e così devo trovare un punto di incontro tra la mia nota stonata e la sua. Sono le sette di mercoledì mattina; avrei dovuto scrivere questa recensione già la settimana scorsa. Il lavoro, le crisi di panico, quel maledetto senso di essere sempre una nota stonata. Ho scelto il libro giusto, anche questa volta.
Ho conosciuto Daniele Germani– autore di Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri – per caso: evento su Facebook, libreria San Graal; lui che organizza un evento per permettere alla libraia di ordinare un numero di copie giuste. Ho visto la copertina, ho letto il titolo, l’ho ordinato. Come sempre, non avevo idea nemmeno di cosa si stesse parlando.
Edizioni Spartaco, della quale vi avevo parlato la settimana scorsa, è una di quelle case editrici che propone testi fuori dalla norma. Questo è stato uno dei motivi per cui poi mi sono lanciata e ho voluto rischiare. Ho iniziato Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri questa estate, su una coperta dal gusto vintage di mia nonna, in una casa che poteva far da sfondo a La casa nella prateria. Odore di erba bagnata al mattino, insetti – vespe, soprattutto – che ti fanno perdere, come si suol dire, dieci anni di vita, un tramonto da star male. Quella sensazione che ti prende lo stomaco le prime righe ma ti abbandona poco dopo, lasciandoti pensare che quel che tieni tra le mani è solo un altro romanzo con frasi comuni. Però prosegui, perché non può essere così. Poi, superato qualche capitolo, ti senti tirato giù: hai rincorso il White Rabbit di Carroll e, come Alice, sei caduta nella buca. Nessuno ti ha spinto.
Una trama impossibile
Quando parlo di “trama impossibile” parlo di una trama che non può essere raccontata ad altri, perché si rischia di svelare, di lasciare troppi indizi in superficie che non vi porteranno a fare una scelta in nessuna delle due direzioni. È una trama del come dire, non del cosa.
Lei, Lui, Il Pazzo. Tre figure le cui storie si intrecciano senza mai saperlo davvero. Ognuno di loro è a conoscenza dell’esistenza degli altri due solo per dei piccoli dettagli conservati nei propri ricordi. Tutti e tre, comunque, sono uniti da un fondamentale dettaglio: sussurrano, si sentono una “nota stonata”.
Uno sfondo interessante
Ho letto molti libri su matti, manicomi e dottori altrettanto pazzi e tutti quanti sono ambientati durante la permanenza in manicomio (prima di Basaglia) o subito dopo, quando i matti erano in strada, liberi dal litio. Quella zona grigia a cavallo fra l’interruzione delle cure forzata dalla legge e la libertà non mi era ancora capitata prima di leggere Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri. Questo sfondo è quello che vi accompagnerà nei primi capitoli, quelli in cui vi perderete e metterete a dura prova il vostro interesse. Io ho scelto di proseguire e ne sono stata davvero felice. L’ambientazione perfetta per porsi domande.
All’improvviso eravamo liberi. Già. Ma liberi da cosa? Noi avevamo solo bisogno di non dormire nella nostra merda, di avere qualche medicina agli orari giusti, di non venire picchiati per qualsiasi cosa. Non avevamo bisogno di essere liberi. Avevamo bisogno di essere curati. Loro dicono liberi, ma oggi io dico abbandonati.
Abbandono, libertà, qualunque cosa sia “altro” rispetto a quel punto di vista. Pazzia, disagio mentale o solo un buon motivo per fuggire?
La salvezza del bello, l’erotismo e la ferita
Può sembrare strano tirare in ballo un saggio sull’estetica, eppure ci sono delle riflessioni interessanti da fare. Byung-Chul Han, nell’esprimersi sul concetto di pornografia ed erotismo, afferma che «la distrazione trasforma la pornografia in una fotografia erotica».
Questo, essenzialmente, è ciò che accade con Daniele Germani: egli riesce, come la strega di Hansel e Gretel, farci entrare nella casa di dolci che sembra questo romanzo. Ma non c’è nessun dolcetto: senti il ferro battuto della ringhiera stretta con troppa forza fra le mani, il dente che morde il labbro; senti quel ritorno alla realtà come uno schiaffo improvviso, mentre sei perso in un tunnel di dettagli che sembrano superflui alla storia e invece sono fondamentali per l’immersione. È per questo che la storia di Daniele Germani è erotica: il lettore viene distratto fino alla fine e non di una distrazione superficiale, sia chiaro. Sempre nel saggio di Han leggiamo: «Pornografico è anche un romanzo di facile lettura che tende a uno svelamento definitivo, a una verità finale […]. L’erotismo fa a meno della verità: è un’apparenza, un fenomeno del velo».
Non è quel tipo di libro in cui il lettore si immedesima e si riconosce. Il lettore resta turbato, ha bisogno di un paio di giorni per dare valore al testo, senza consentire alle proprie aspettative di prevalere in ogni singola virgola.
Successivamente, sulla seduzione, Han afferma che essa «gioca sull’intuizione di ciò che nell’altro resta eternamente segreto a lui stesso, su ciò che non saprò mai di lui e che tuttavia mi attira sotto il marchio del segreto». Nel gioco della seduzione, dunque, è insito un «pathos della distanza, un pathos del velamento». Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri è quindi, giunti a questo punto, un romanzo erotico e seducente.
Probabilmente è sconveniente parlare di un libro citandone un altro ma, per esprimere al meglio quel che penso, devo necessariamente inserire un briciolo di parole di altri, soprattutto quando si tratta di riflessioni di questo genere. È ancora il filosofo sudcoreano a venirmi incontro: «A differenza dello shock il punctum non urla: ama invece il silenzio e custodisce il segreto. Nonostante il suo silenzio si manifesti come ferita. Quando cadono tutti i significati, le intenzioni, le opinioni, le classificazioni, i giudizi, le messe in scena, le pose, i gesti, le codificazioni, le informazioni, allora il punctum si manifesta come resto silenzioso, cantante, che provoca turbamento. Il punctum è il resto che resiste restando alle spalle della rappresentazione, l’immediato che si sottrae alla mediazione di senso e significato; è il corporeo, materiale, affettivo e inconscio, dunque reale che è antitetico al simbolico».
La nota stonata: il risultato finale
Daniele Germani non riesce a definirsi un vero e proprio scrittore. Non vive di questo; scrivere non è il suo mestiere. Eppure, nonostante la sua visione pessimista (nella quale del resto mi rispecchio), è in grado senza dubbio di emergere tra tutti i testi che vivono negli scaffali. Questa polvere di cui parla penetra nei pori della pelle: non ti senti colpevole, non ti senti addolorato né felice. Non è quel tipo di libro in cui il lettore si immedesima e si riconosce. Il lettore resta turbato, ha bisogno di un paio di giorni per dare valore al testo, senza consentire alle proprie aspettative di prevalere in ogni singola virgola.
Daniele mi chiese come avevo preso il finale, se alla fine il libro mi era piaciuto davvero e non solo per dargli una nota positiva. Lui cercava la nota stonata, invece, quel che non andava. Voleva la conferma di essere fallibile, come tutti. Sarà sicuramente così, in qualcosa fallirà sicuramente come tutti. Non in questo racconto, però; non quando la neve che si deposita sui pensieri dell’uomo si trasforma nella polvere bianca che seppellirà alcuni dei pensieri della donna e che si ritroverà nella bocca del Pazzo, poco prima della fine.
Voglio concludere con un piccolo estratto del capitolo Verso il buio, ancora.
Siete sempre più soli e sarete sempre più isolati, dietro alle vostre strane tecnologie, alla musica sparata dentro le orecchie, imprigionata nella vostra disattenta concentrazione. Perché? Chi scrive musica, chi scrive un libro o dipinge un quadro non l’ha fatto solo per voi, per tenere tutto chiuso nel vostro egoismo. Chi fa arte la fa per tutti.
Si torna dove si è stati bene, si dice. Così fanno questi tre personaggi, nonostante si percepisca sempre un senso di inadeguatezza. Un viaggio nel regno dei lillipuziani dove voi siete Gulliver. O, forse, solo un uomo in un mondo sbagliato.”
“Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri”, di Daniele Germani
Introduzione
Ero matta in mezzo ai matti. I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti. Sono nate lì le mie più belle amicizie. I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo. I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita. (Alda Merini)
Aneddoti personali
Cos’è realmente la pazzia? L’etichetta di “pazzo” viene spesso attribuita in maniera impropria a quanti preferiscono lasciare ad altri la convinzione di essere normali.
Recensione
Dopo aver entusiasmato i lettori con il suo romanzo d’esordio “Manuale di fisica e buone maniere”, Daniele Germani ritorna con un altro romanzo dal titolo particolare; una metafora che leggendo non tarderà a svelarsi. Singolare la cover, passaporto necessario al percorso che si andrà a compiere in un mondo appartenuto ad una pagina triste di un passato recente; e forse anche il colore scelto non è casuale … Siamo alla fine degli anni settanta quando,due anni prima della sua morte, Franco Basaglia dà il nome alla Legge 180/78, nota appunto come Legge Basaglia, che decreta la chiusura definitiva dei manicomi, segnando una svolta nel complicato capitolo “assistenza” ai pazienti psichiatrici. Veri e propri lager di tortura e sevizie nei quali venivano internati, in quelle che altro non erano che celle spesso di isolamento, tutti quei soggetti “mentalmente instabili”, “troppo vivaci”, “incompresi”, “estremamente introversi”, “fuori dal coro” o considerati malati perché omosessuali … Tutti coloro i quali occorreva tenere lontani dalla “normalità” appartenente ad una società che ha sempre preferito nascondersi dietro a un dito se non alzare muri, di fronte a difficoltà oggettive derivanti da situazioni complicate, forse, da affrontare. Non ci si poneva neppure il problema di come gestire un parente o un figlio/a caratterialmente irrequieto o sui generis, dalle idee un po’ bizzarre o magari semplicemente eccentrico; non “domabile” e quindi, spesso con la complicità di consenzienti medici di famiglia, da internare. Persone, individui, ridotti a larve umane che pazzi lo sono diventati davvero, giorno dopo giorno, perché scopo di pseudo medici responsabili di atrocità e sevizie inaudite,non era di sicuro l’applicazione del Giuramento di Ippocrate. La guarigione non era contemplata; diceva Basaglia ” La società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere.” Ed è proprio su questo che Germani accende i riflettori, sulla totale mancanza di volontà nel capire, singolarmente, le problematiche di ogni “malato mentale” e provare a risolverle.
Tre protagonisti, un uomo, una donna e un pazzo. Tre storie con un unico filo conduttore:essere ostaggio della propria mente, alienati da “brutti pensieri” che sommergono un cervello già sepolto sotto una fitta coltre di “polvere”. Tre personaggi borderline, forti nelle loro fragilità, vittime dell’ignoranza e dei pregiudizi, di un distorto stereotipo chiamato follia che tende ad omologare sotto una percezione sbagliata una realtà fatta di sofferenza, rimpianti e dolore. Dove la vittima, a volte, si confonde col carnefice quasi a voler giustificare un senso di rivalsa lavandosi la coscienza.
Recensire senza entrare nel vivo della narrazione non è semplice e ancor meno lo è cercare di trasmettere le emozioni di ogni genere e grado che ci si trova a vivere e a provare un capitolo dopo l’altro. Non racconterò nulla dei tre (?) personaggi, lascio al lettore l’onere e l’onore di fare la loro conoscenza; di avvicinarsi in punta di piedi a chi per anni ha dovuto fare i conti con quella mancanza di credibilità e di rispetto che spetterebbe di diritto a tutti gli esseri umani. Daniele Germani ha saputo raccontare con eleganza, attraverso una scrittura colta, raffinata e scorrevole, lo spaccato vergognoso di società che di civile ha solo il nome. La narrazione, trascinante e introspettiva, conduce inevitabilmente alla riflessione sulla diversità in senso lato e su un concetto di normalità troppo spesso fatta solo di finzione e apparenza. Daniele induce il lettore a compiere un viaggio attraverso tutti quei cunicoli e quelle strettoie della mente umana ancora esplorate solo in parte e dove risiedono vicende, traumi infantili, paure, fantasmi, fantasie e immaginazioni che, in taluni casi uscendo dagli argini che delimitano un equilibrio precario, finiscono col prendere il sopravvento sfociando in ciò che nella migliore delle ipotesi si chiama “solo” depressione…
Conclusioni
Assolutamente da leggere con la consapevolezza di apprendere, anche se in chiave romanzata, ma in maniera diretta, cruda a volte, fatti che pur se non nella fattispecie del racconto in sé, realmente accaduti all’interno di tutte quelle carceri travestite da Istituti di Cura che avrebbero, solo, dovuto fare da zona di conforto tra le famiglie e quanti ne avevano realmente bisogno.
Teresa Anania
Voto 5/5
Citazioni
“Forse non ci stavano mandando via, forse avevano capito che avevamo solo bisogno di tranquillità, di serenità, di non prendere bastonate per ogni cosa, di non avere la testa immersa in secchi di acqua gelida e soprattutto di non morire senza motivo. … Non avevamo bisogno di essere liberi. Avevamo bisogno di essere curati. Loro dicono liberi, ma oggi io dico abbandonati.”
“Io non ero Pazzo finché non sono uscito dall’Istituto, perché prima ero come tutti gli altri. Perché, forse questo non vi è chiaro, i matti sono matti quando sono fuori, quando sono in giro, quando sono a contatto con voi che siete normali. … io sono Pazzo perché siete stati voi a decidere di essere sani.”
“…Dottore, ma lei così ammazza i granelli di polvere che ho in testa, … lei non li conosce, quei granelli. A lei sembrano solo polvere, ma vivono, Dottore mio. Io guarirò e loro moriranno. … Ti prometto che sistemeremo anche la polvere… Non capiva tutto quello che gli diceva, ma andava bene così. Era lui a dover capire, non il Pazzo a spiegarsi meglio.”
Editore:Edizioni Spartaco
Data di pubblicazione:25 Luglio 2019
Note di pubblicazione:Edizioni Spartaco – Collana Dissensi