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18 lunedì Mag 2020
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21 giovedì Nov 2019
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Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri, il nuovo romanzo di Daniele Germani pubblicato da Spartaco edizioni nel 2019, affronta il tema della legge Basaglia. Ambientato a ridosso degli anni Ottanta, negli anni in cui la legge Basaglia chiude i manicomi (1978), il romanzo intreccia le storie di alcuni personaggi, l’uomo, la donna, il pazzo, il vecchio, il professore, in una composizione ritmica originale e lirica nella descrizione di paesaggi e stati d’animo. Il finale è sorprendente e la tematica psichiatrica è trattata con competenza e senza mai cadere nella retorica.
«Soprattutto aveva una domanda ben chiara: come eliminare la polvere e altri brutti pensieri?» La domanda. La domanda è sempre domanda d’amore e di riconoscimento dell’altro, un demandare, e quel rumore bianco interiore che ci guasta la vita è sempre un mancato riconoscimento altrui, dalla famiglia fino al contorno sociale. Il suo romanzo insiste molto sulla capacità del desiderio di donare la risposta risolutiva, che spesso, come lei denuncia benissimo, è delegata all’unica soluzione sbrigativa, «quella chimica che mi tiene assoggettato alla realtà che mi avete costruito intorno», che annienta il desiderio.Perché ha desiderato scrivere questo romanzo?
Perché ho desiderato scrivere questo romanzo? Questa è la domanda regina, quella a cui nessuno può rispondere in tutta la chiarezza che merita, ma non perché si voglia mentire, bensì perché la verità e la fantasia nelle intenzioni di uno scrittore si confondono sempre, e così si confondono realtà e aspettative. Non posso dare una risposta precisa, ma credo che si inizi a scrivere perché si vuole comunicare qualcosa. Tutti vogliamo comunicare con gli altri e tutti lo facciamo nel miglior modo che riteniamo possibile e accessibile, soprattutto. Gli artisti lo possono fare con l’arte, appunto. Chi sa suonare lo fa con la musica, chi sa dipingere con il disegno e così via. Io so scrivere, almeno a quanto mi hanno detto in molti, e allora uso questo strumento per poter esprimere ciò che sento.
Ma io non voglio spiegare la vita a nessuno, con i miei testi non pretendo di modificare le convinzioni di nessuno. Questo romanzo è stato scritto perché mi piaceva il titolo. Sono partito dal titolo e da lì ci ho costruito sopra la storia per intero. Sembra strano a dirsi, ma è accaduto lo stesso anche con il primo romanzo, Manuale di fisica e buone maniere. Il titolo deve essere la luce che illumina la trama e che devo cercare di scovare tra quelle sette o otto parole che lo compongono.
Ovviamente avevo in testa una certa idea e il titolo stesso è nato dal messaggio che avevo in mente di voler mandare, ovvero parlare degli emarginati, di chi è e sarà sempre ultimo. Nel mio primo, il Manuale, parlo di penultimi, ora mi sembrava giusto parlare di chi non avrà mai la possibilità di guardare alla vita con speranza.
La questione Basaglia poi mi ha sempre interessato Già prima di pensare alla stesura, mi ero molto informato su questo momento storico così importante. Insomma, sono arrivato già preparato al momento in cui mi è venuto in mente quel titolo così particolare e poi ho dovuto soltanto metterci dentro la storia.
«L’odore di gelsomino è forte, prepotente, sembra occupare spazio e quasi come fumo denso invade aria e narici ed entra nei pensieri, li addolcisce, rendendo tutto più morbido, rilassante». Molto interessante è la reiterazione di questo giro di frase: ogni volta e in un senso particolare, ogni personaggio s’imbatte nella simbologia di questo fiore. Il gelsomino, e tutte le leggende di cui è protagonista, può esprimere innocenza, felicità, timidezza ma anche grazia e desiderio. Nel romanzo è un chiave che collega i personaggi, una funzione retorica: personaggi, si scoprirà, molto particolari. Come ha lavorato per renderli credibili e diversificati tra loro?
Il lavoro di diversificazione dei personaggi, almeno nel mio caso, avviene in maniera abbastanza naturale. Mi spiego meglio: quando si scrive ci sono varie tipologie di procedura. A volte è necessario definire i personaggi al meglio e nei dettagli fin dove è possibile, perché magari la trama è flessibile e i protagonisti sono il vero elemento portante della storia. Nel caso invece di Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri, la trama è stata pensata per tentare di veicolare un messaggio ben preciso che volevo comunicare e quindi aveva dei paletti decisamente fermi dai quali non potevo in alcun caso allontanarmi troppo.
Anche i personaggi erano definiti, ma non così tanto e ho potuto quindi giocare un po’ con le loro vite, le loro caratterizzazioni, con le varie storie verticali che ho reso funzionali alla trama stessa e non il contrario. È stato bello vivere con loro. Li ritengo tutti molto interessanti. Il personaggio al quale sono più legato è il medico che si incontra in pronto soccorso. Credo sia l’emblema del romanzo stesso. Un uomo intrappolato dai suoi errori in una stanza e dalle sue errate convinzioni di un mondo che ce l’ha con lui, mentre è esattamente vero il contrario. Purtroppo appare per poche pagine, ma prolungare la sua esistenza non sarebbe stato funzionale alla trama.
«Era un concerto di Georges Cziffra, che eseguiva quella che universalmente era riconosciuta come una delle composizioni più complesse mai scritte per pianoforte, la Toccata Opera 7 di Robert Schumann». Ho pensato di rileggere questo passaggio ascoltando Schumann. Il suo romanzo è costruito alternando le vicende di tre personaggi, l’uomo, la donna, il pazzo, e poi ci sono anche il vecchio e il professore. La musica non è solo presente materialmente, sotto forma di pianoforti o di citazioni musicali, ma anche nella metafora che associa il disagio mentale a una nota stonata. Poi dalla lettura dell’indice si evince una sorta di polifonia che alterna voci differenti in una sorta di fuga. Che rapporto esiste, secondo lei, tra la musica e la sua prosa?
Quella sulla musica è questione alla quale tengo molto. Durante la fase creativa e di composizione del testo, ascolto sempre musica, in particolare suonate di pianoforte. Non riesco a scrivere neanche una parola senza che un pianoforte che mi accompagni. Preferisco in assoluto Einaudi, ma anche altri autori come Satie, Bach, Beethoven etc.
Questo ascolto ininterrotto e senza soluzione di continuità per ore anche della stessa playlist mi porta a “inquinare” la scrittura con le note, le partiture e tutto quello che concerne il pianoforte. Anche nel mio primo romanzo il testo era profondamente influenzato dalla presenza della musica di Einaudi.
Questo sconfinamento ha delle ripercussioni ovvie sulla trama e sui protagonisti. Se non avessi questa necessità, probabilmente lei non si sarebbe mai avvicinata a quel negozio di musica e lui non avrebbe avuto la sua nota stonata. Insomma, è un dare-avere a tutti gli effetti, spero con effetti piacevoli per chi legge.
«Basaglia ancora non aveva scoperchiato alcun vaso, il tavolo dove tutto era fermo da più di quarant’anni non era ancora stato rovesciato ed ebbe modo di assistere a quello che accadeva lì dentro». La sua scrittura è a tratti onirica, è un linguaggio parlato dal sintomo, dall’inconscio forcluso, ma anche storia di sofferenze e di umanità derelitta, accenti lirici, a volte, paesaggi che dicono la sofferenza. Eppure v’è il discorso preciso sulla legge Basaglia, e sulle meccaniche psichiche e farmacologiche sottese alla cura. Come nasce un romanzo quando deve rispettare la legge della scientificità, della storia e allo stesso tempo della finzione narrativa?
Questa è una domanda eccellente alla quale non credo possa esistere una risposta comune a tutti gli scrittori. Dico questo perché chi scrive di solito non ha alcuna competenza scientifica riguardo l’argomento che tratterà e per questo si affida a esperti del settore che, in prima stesura, controllano la validità e la bontà dello scritto. O è quello che dovrebbe accadere; almeno è questa la mia linea di condotta. Ho sottoposto il mio testo in fase di stesura a due esperti nel settore della chimica e degli esplosivi e a uno psichiatra che, dopo aver letto e consigliatemi le dovute correzioni, hanno dato il via libera al testo.
Quando si scrive una storia dove si sa già che si andrà a invadere campi dove non si ha esperienza, si deve sempre accettare il rischio che la trama non reggerà, che dovrà essere modificata perché magari i personaggi non possono fare quella cosa che porterà a un successivo step della storia, per questo bisogna studiare molto l’argomento prima di affrontarlo e scriverne.
«Siete sempre più soli e sarete sempre più isolati, dietro alle vostre strane tecnologie, alla musica sparata dentro le orecchie, imprigionata nella vostra disattenta concentrazione». Il romanzo racconta anche una società che da un certo punto in poi si è impantanata nell’individualismo più esasperante, vi si oppone la visione di un suo personaggio: «Chi fa arte la fa per tutti». Alla folle velocità dell’iperproduzione materialistica obietta la lentezza dei processi psichici, ancora di più quando vengono sedati, meccanismi soggettivi che cozzano con i tempi strettissimi della produzione commerciale: dunque velocità contro lentezza. La sua letteratura da che parte sta?
Devo dire che i miei personaggi, sia del primo sia di questo secondo romanzo, vivono in altre epoche, prendono treni e non aerei, anche se potrebbero, non usano i forni a microonde perché ne hanno timore, hanno paura della velocità delle automobili e si perdono in lunghe e lente passeggiate in parchi e periferie labirintiche.
I miei personaggi non sono autobiografici nelle azioni che intraprendono, ma lo sono sicuramente nelle loro sfumature, che cerco di rendere indispensabili all’economia della storia stessa.
L’iperproduzione materialistica c’è sempre stata ed è sempre stata rapportata all’epoca di riferimento, ma quando scrivo amo che i miei personaggi respirino, che si sentano liberi e sganciati dalla commercializzazione di qualsiasi oggetto e prodotto, anche fosse artistico, con il quale si trovano a contatto.
Vorrei precisare che questo processo non avviene a tavolino, o almeno non del tutto. Scrivo di alcune tipologie di persone e mi viene abbastanza naturale la loro caratterizzazione come ho scritto poco fa; la mia letteratura quindi sta dalla parte di chi ha un po’ paura di quello che gli può accadere affrontando la tecnologia dell’epoca in cui vive.
«Ricordatevi però che quel Pazzo aveva ragione: io sono Pazzo solo perché siete voi a voler essere sani». Lei è stato in grado di costruire un intreccio con un finale che sorprende, non solo per una questione di stile che garantisce la tenuta della storia, ma proprio per un aspetto filosofico molto indagato dagli scrittori: la differenza tra vero e falso, tra sogno e reale, e in questo caso tra follia e normalità. La grammatica mentale di uno scrittore ha delle differenze sostanziali rispetto a quella di chi non ama né leggere né scrivere?
Io non credo. Cerco di spiegarmi meglio. La grammatica mentale è un aspetto della fantasia che ognuno di noi, chi più e chi meno, possiede. Leggere e scrivere può accentuare o meno e allenare o atrofizzare la capacità di scrivere, ma è una capacità che si ha innata. C’è chi è portato per fare i conti a memoria, chi ha nella manualità la sua naturale predisposizione e via dicendo. Io non ho la benché minima manualità e se devo fare dei lavori in casa, posso allenarmi quanto voglio, ma cambiare una maniglia alla porta o stuccare un muro crepato per me resterà sempre un impegno quasi insormontabile.
Chi invece ha la capacità innata di scrivere, con la lettura e la scrittura può arrivare a perfezionare quest’aspetto, che dovrà essere però accompagnato dal talento. Uno scrittore scrive perché ha talento che con la fantasia crea un connubio perfetto. Quindi, per concludere, non è importante leggere o scrivere per essere uno scrittore, ma bisogna avere le capacità innate. Poi quali sono queste capacità, beh è difficile da stabilire. Chi ha una mente più analitica magari scriverà un thriller, chi invece è più romantico scriverà un romanzo d’amore.
Il leggere o lo scrivere sono l’acqua con la quale si innaffia il seme del talento. Io non so se questo talento sia grande o meno, solo il tempo lo dirà, ma posso dirti che da quando scrivo leggo molto meno e per due motivi. Ho molto poco tempo, tra il lavoro e la famiglia, avendo anche una bambina piccola, e soprattutto perché ho notato che sono troppo influenzato dagli scrittori che amo e questo aspetto credo limiti molto la naturale evoluzione della mia creatività.
10 domenica Nov 2019
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Alcune recensioni sono tecniche, altre svogliate, certe recensioni rivelano troppo della storia e ce ne sono alcune confuse, che forse non parlano neanche del testo in questione.
Quella di Lucrezia di Sotto la copertina è invece un gioiello. Per “Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” è la seconda recensione di altissimo livello. Lucrezia ha letto in tanti dettagli nascosti la vera natura del testo. Grazie Lucrezia
”
Sarà capitato anche a voi: a volte, nelle nostre letture si creano delle consonanze che rendono ogni libro l’anello di una sola catena. Di recente vi ho parlato de La notte dell’uccisione del maiale di Magda Szabó (Edizioni Anfora) come di una detective story in senso lato: indizi disseminati nel corso dell’intreccio che dipingono in triste quadro finale.
In Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri di Daniele Germani (Edizioni Spartaco) si verifica qualcosa di simile: storie che corrono su binari paralleli, dirette verso la stessa destinazione senza (apparentemente) incontrarsi mai. Seguiamo le vicende di tre protagonisti accomunati da un senso di sconfitta.
Si rese conto che le restituivano l’immagine che lei aveva di se stessa. Si chiese se anche gli altri si vedessero così deformi, così lontani dall’idea che avevano costruito di se stessi e della loro vita. Forse si contraevano ed espandevano a seconda della grandezza del loro fallimento.
C’è una donna, ormai non più nella prima giovinezza. A causa di una gravidanza inaspettata e indesiderata e delle pressioni di fidanzato e parenti, ha dovuto abbandonare l’idea di laurearsi e ormai da lungo tempo è imprigionata in una servile esistenza casalinga, circondata da una famiglia ingrata che a malapena fa caso a lei. Tra i suoi amori perduti, quello per la musica del pianoforte: uno dai tanti privilegi che ormai le vengono negati.
C’è un uomo, anche lui sposato, anche lui invischiato in un matrimonio senza amore; un uomo che non ha mai visto il mare, e nella cui testa c’è una nota stonata che lo sta facendo impazzire. Nella sua mente si affollano domande, giuste e sbagliate. Quella fondamentale?
Come faccio a eliminare la polvere e i brutti pensieri?
E poi c’è un pazzo. Che sia un uomo, piuttosto che una donna, non importa: ciò che conta è il male che lo affligge, un male nato e cresciuto in tanti anni di manicomio, di soprusi; fino a che la legge Basaglia del 1978 gli regala una libertà illusoria, che lui sceglie di vivere da prigioniero nello scantinato di un padre che odia e, a sentir lui, da cui è ampiamente ricambiato.
Tre vite che, nel silenzio di una grigia città priva di punti di riferimento, ticchettano silenziosamente come il timer di una bomba: ciascuna di esse, a modo suo, è arrivata al punto di rottura.
Per la donna è la possibilità di lavorare in un negozio di strumenti musicali, di poter di nuovo pigiare i tasti di un meraviglioso pianoforte intonso da polvere e da brutti pensieri; per l’uomo, è quella nota stonata che minaccia di rompere ogni sbarra della sua prigione, di fargli compiere azioni che deraglino dai suoi binari; e il pazzo… Beh, il pazzo è sul punto di compiere l’atto supremo, un atto che avvicina l’uomo a dio.
Personaggi che popolano uno stesso universo. Le stesse strade anonime, lo stesso negozio di strumenti musicali, la stessa scuola, o istituto. Ci sono consonanze, nelle loro esistenze, che ti fanno chiedere se l’uomo e la donna non siano in realtà marito e moglie; se il pazzo sia lo stesso che ha aggredito la consorte dell’uomo senza nome, lasciandole in eredità un perpetuo naso rotto. Eppure c’è una nota stonata, i pezzi del puzzle non combaciano mai abbastanza da formare un’immagine nitida… prima che essa ti esploda in faccia in un modo in cui non ti aspetti.
Non vi svelo altro della trama: vorrebbe dire andare contro le intenzioni dell’autore, contro il gusto investigativo del libro stesso. Un’indagine che non è confinata al lettore: i personaggi, l’uomo e la donna, si fanno domande (quelle capaci di distruggere muri e confini della loro psiche). A possedere le risposte sembra essere il pazzo.
Figura emarginata dalla società, se prima era separato da essa da alte mura di cemento e un oscuro oblio, una volta fuori rimane circondato da un invalicabile fortezza di imbarazzo e paura. La pazzia ieri si scontra con la pazzia oggi: quanto è cambiato e quanto è rimasto invariato nel corso degli anni, dopo una cesura così importante, almeno sulla carta, come la legge Basaglia?
Legare i pazienti come lui gli aveva sempre fatto risparmiare parecchio tempo. Ora la legge lo impediva. A dire il vero lo aveva sempre vietato, ma negli ultimi anni alcune leggi garantivano ai pazzi o ai fuori di testa, alcolizzati e drogati che fossero, lo stesso trattamento sanitario riservato agli altri, e lui si era dovuto adeguare. […] Fece rapidamente il contro di quante persone aveva spedito in manicomio nei suoi trent’anni di carriera solo perché avevano mostrato gli stessi sintomi di questo tizio. Ora non poteva più. Ora doveva curarle.
Scese per un sottopasso. Imboccò quel corridoio lungo e buio dove, nascoste alla vista degli abitanti della città, vivevano le creature scartate dal mondo civile. Senzatetto, qualche matto, eroinomani e spacciatori se ne stavano rintanati il più possibile e da sopra nessuno li avrebbe costretti a trasformarsi in cittadini. L’accordo sembrava funzionare.
I matti restano matti, anche fuori dai manicomi: per molti, la chiusura delle istituzioni ha significato semplicemente passare da uno stato di abbandono e abuso (raccontato nei suoi dettagli più crudi) a un altro.
All’improvviso eravamo liberi. Già. Ma liberi da cosa? Noi avevamo solo bisogno di non dormire nella nostra merda, di avere qualche medicina agli orari giusti, di non venire picchiati per qualsiasi cosa. Non avevamo bisogno di essere liberi. Avevamo bisogno di essere curati. Loro dicono liberi, ma io dico abbandonati. Chi è stato fortunato come me è tornato a casa, perché io una casa ce l’ho. Altri sono rimasti in strada. Alcuni non avevano nessuno, altri ce l’avevano ma non sarebbero andati a prenderli.
Soprattutto, esiste un caleidoscopio della pazzia: ce n’è indotta da soprusi e libertà negate. E una percepita dagli occhi degli altri.
Forse questo non vi è chiaro, i matti sono matti quando sono fuori, quando sono in giro, quando sono a contatto con voi che siete normali.
Se questo libro parla di pazzia e di cura (nelle sue sfumature più oscure: per esempio cura cercata per liberare la società da un peso inutile o sfruttata come mezzo per guadagnarsi gratitudine, notorietà e prestigio) parla anche di noi, dei cosiddetti “normali”.
I normali non sono altro che coloro che non escono dalla linea tratteggiata dal buonsenso comune. Eppure, in un modo o nell’altro, più o meno apertamente, non finiamo tutti per debordare da quei contorni, anche solamente nella solitudine del nostro animo?
Fuori la gente sana pensava che in fin dei conti ce l’eravamo cercata a non nascere uguali a loro.
E quando accade, quante volte anche solo l’istinto di rompere regole spesso automposte diventa un segreto che ci pulsa dentro finché non esplode o soffoca lì dove è nato?
Era arrivato il momento di cercare un pazzo che un tempo aveva preso a pugni sua moglie e capire se anche lui avesse sentito quelle note tutte stonate prima di iniziare a malmenare la gente per strada. Doveva capire se anche lui si sarebbe presto trasformato in qualcosa che fino a qualche tempo prima era semplicemente della polvere da mettere sotto un tappeto della società moderna, da rinchiudere in un manicomio, anche ora che i manicomi non esistevano più. Era ora di andarsi a guardare allo specchio.
La pazzia è allora quell’universo che sta al dilà dello specchio in cui il normale si riflette ma non osa guardarsi. Ed il timore del diverso è uno dei temi portanti della narrazione. La paura che si prova per chi ostenta, volente o nolente, la propria alterità non è altro che l’estrema conseguenza delle barriere che ci separano dagli altri, più o meno sconosciuti. Non è vero che ci trascuriamo a vicenda solo perché il tempo scorre veloce e ne abbiamo poco da dedicare a chi ci sta attorno; a volte, ignorare è una scelta.
Camminando rapidamente per quel corridoio buio, abbassò lo sguardo e cercò di concentrarsi soltanto sulla luce in fondo, stando attenta a non calpestare siringhe e marciume. Soprattutto stette attenta a non incrociare lo sguardo di nessuno.
Il dolore altrui fa paura; e fa paura il pensiero di essere osservati, di essere sorpresi a mostrare un’emozione, salvo scoprire che non c’è nessuno a guardare perché nessuno vuole vedere. E questo è accaduto tanto ai margini della società, nei manicomi come nei campi di concentramento (il parallelismo è evidente), quanto per strada o al supermercato, o persino tra le mura domestiche.
Ti viene da piangere , è un attimo, ma ti rifiuti, perché non puoi farlo in mezzo alla gente, non puoi piangere mentre hai il mondo intorno che ti guarda, anche se poi in verità non ti guarda nessuno.
Non c’è vicinanza, tra i personaggi di Germani. Le famiglie sembrano conglomerati finiti insieme per caso, nuclei funamboli su reti sfilacciate di convenzioni sociali e mancanza di alternative. Le famiglie sono anche quelle che ti spediscono in manicomio per non dividersi un’eredità. I padri picchiano i figli, i figli non rispettano i genitori che invece li amano.
I sentimenti invecchiano e muoiono rapidamente, e restano le conseguenze, sentenze da scontare col sorriso sulle labbra. Non ci si comprende, perché si pensa di farlo già; e si pensa di farlo già perché ci si rifiuta di guardare davvero. E si parla sottovoce, come in manicomio, perché esprimersi è un crimine che si paga caro. Con l’incomprensione e la solitudine e, in casi estremi, con la violenza e l’abuso, in ognuna delle loro molteplici forme.
Pensi di aver contato per qualcuno, per uno spruzzo di vita in una notte di speranze, quando credevi ancora alla nobiltà del gesto, quando credevi che il futuro fosse un evento prevedibile da poter modellare a tuo piacimento.
C’è una quarta presenza che permea tutto il libro, in una forma o in un’altra, in ogni capitolo. Una presenza che si adagia addosso e si attacca, si respira e si beve, si posa a terra o danza nell’aria: la polvere. Una creatura che ha quasi vita propria, una persecutrice. Che cosa sia questa polvere è la domanda fondamentale a cui si cerca di dare una risposta. Ed è possibile eliminarla?
Non vi dirò che cos’è la polvere, dovrete scoprirlo leggendo. Se vorrete farlo. Anche perché solo leggendo, potrete capirlo. Ma posso darvi uno spiraglio su quell’ultima questione, che è anche la prima: è possibile eliminarla?
Non dalla vita di tutti i giorni, o così pare. Solo il pianoforte, nel libro, è intonso, tanto che ci si può specchiare sulla superficie nera. Infinito come il cullare delle onde, o il momento di un’esplosione.
E se non si può eliminare, con la polvere ci si adatta a conviverci, ognuno a modo suo. Il sano e il malato, il reale e l’immaginario ci fanno i conti; ci si adatta, in modi più o meno ortodossi, più o meno benaccetti dalla morale comune. In questo senso, obietta il libro, anche la malattia è un meccanismo di adattamento; curare per forza, curare in maniera ortodossa, allora, vuol dire togliere all’individuo la sua unica arma di difesa contro il mondo.
Un’argomentazione controversa, con cui si può essere più o meno d’accordo. E la domanda potrebbe non essere quella giusta: quel “come” potrebbe dover diventare un “se”.
Tiriamo le fila, dunque: che cos’è Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri?
Un libro che parla alle nostre paure e alla nostra vergogna, paura e vergogna che non sono solo emozioni innate ma anche comportamenti acquisiti. Un libro che sfida la percezione comune di buono o cattivo e di giusto o sbagliato, con una prosa che oscilla paurosamente tra l’alto e il basso (a volte troppo), così come sentimenti e fatti descritti. Una miccia per far esplodere delle domande in testa, quelle che spesso non vogliamo farci.
Un libro che va letto con attenzione, per cogliere i dettagli, lì dove si nasconde il diavolo, come si dice. E felicemente consigliato.
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12 giovedì Set 2019
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Ultimamente sto saturando la mia presenza su Facebook (e tutti i suoi fratelli) di info su come sta andando bene il mio romanzo, di come piaccia a tutti, di quanto sia stato fantastico scriverlo e pubblicarlo.
Però in molti dimenticano che noi scrittori “per passione” scriviamo nei ritagli di tempo, quando possiamo, quando i figli non piangono perchè ti distraggono e fin quando i nostri pazienti compagni di vita (mogli, mariti, genitori o coinquilini) davvero non ce la fanno più a vederci rintanati ore e ore a picchiare sulla tastiera o a passare decine di minuti a guardare nel vuoto immaginando trame, colpi di scena, personaggi e finali originali.
Noi scrittori per passione non portiamo il pane a casa con quello che scriviamo. Al massimo contribuiamo a sdradicare ancora un pezzetto di bosco con la carta che serve per stampare i nostri “capolavori”.
Però scriviamo perchè siamo certi che parlare a qualcuno tramite una storia sia l’unico (o almeno quello che sappiamo far meglio di altri) modo di potersi esprimere.
Io non scrivo perchè ho tanto tempo libero, perchè di tempo libero proprio non ne ho, non scrivo per un senso di rivalsa contro qualcosa o qualcuno, non scrivo neanche per garantire un futuro migliore a chissà chi.Io scrivo solo e soltanto perchè qualcuno mi fermi (su facebook, per strada, in qualche presentazione) e parli con me di quello che ho scritto, che mi dica cosa ne pensa e magari che non è d’accordo con il che, il cosa e il come di quello che ho scritto.
Noi scrittori “senza pane” non scriviamo per noi, scriviamo per voi.
Forse lo fanno anche quelli “con il pane”, non lo so, io non ne conosco, ma noi lo facciamo per farvi provare emozioni, per vedere lo stupore nei vostri visi, leggerlo nei vostri commenti, per capire se quello che abbiamo scritto è stato capito o non siamo stati bravi neanche a comunicare la metà del significato che volevamo dare.
Noi scrittori “senza pane” siamo molto molto stanchi a fine giornata, perchè dopo le sette/otto ore di lavoro, dobbiamo anche metterci lì a promuovere il nostro romanzo, ad organizzare presentazioni, a conoscere gente, ad invitarla agli incontri etc etc.
Non ci obbliga nessuno, è vero, ma facciamo tutto questo solo e perchè vogliamo che voi leggiate quello che abbiamo scritto in un anno, corretto in due e pubblicato in tre.
Grazie di esserci, lettori, altrimenti il nostro scrivere non avrebbe senso.
Però mi farebbe davvero piacere che fosse chiaro che tra una o dieci copie vendute in più, a noi non fa nessuna differenza, neanche un po’.
Cambia tutto invece tra una o dieci copie lette.
Leggete quello che comprate perchè lo abbiamo scritto, non solo tanto per, così potrete non essere d’accordo con quello che c’è in quelle pagine, ma succederà una cosa fantastica: saremo tutti un po’ più liberi.
A presto
Daniele
12 martedì Feb 2019
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BASAGLIA, LEGGE BASAGLIA, letteratura, letteratura italiana, lettura, libri, PSICHIATRIA, racconti, romanzo, scrittori, scrittura, scrittura creativa
Si parte con la prima fase della revisione del testo pre-pubblicazione.
Un lavoro che si preannuncia abbastanza importante, sia nella forma che nella sostanza.
Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri – Romanzo è ancora un pane un po’ grezzo e poco lievitato. Nei prossimi 32 giorni, ovvero fino alla scadenza della consegna della bozza finale del 15 marzo 2019, dovrà lievitare e arrotondarsi al meglio.
Ci lavoreremo giorno per giorno, costantemente, con la passione e l’amore che necessita.
A presto!
Daniele Germani
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29 martedì Gen 2019
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09 mercoledì Mag 2018
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INTERVISTA, letteratura, letteratura italiana, lettura, libri, racconti, scrittori, scrittori esordienti, scrittori italiani, scrittura, scrittura creativa
Dopo ben un anno e otto mesi dalla sua pubblicazione, il Manuale di fisica e buone maniere continua a destare curiosità e interesse.
Sabato 12 maggio 2018 sono stato invitato nella prestigiosa Biblioteca Di Galliate, immersa nella splendida cornice del Castello Sforzesco di Galliate, per presentare il Manuale.
Se vi trovate nei pressi di Novara e Galliate, vi aspetto alle 16.30 per chiacchierare del Manuale e dei progetti per il futuro.
Un caro saluto a tutti
18 domenica Mar 2018
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amicizia, letteratura, letteratura italiana, lettura, libri, premio san salvo, racconti, racconti brevi, racconto, romanzo, scrittori, scrittori esordienti, scrittori italiani, scrittura, scrittura creativa, social
Tre anni fa firmavo il contratto di rappresentanza con l’Agenzia Letteraria Edelweiss.
Ero totalmente inesperto di tutto quello che riguardava l’editoria, ma con Andrea e Roberto ho iniziato un percorso professionale riguardante il Manuale di fisica e buone maniere, tramite il quale siamo arrivati alla pubblicazione del romanzo, e uno molto più importante, quello umano, che mi ha portato a conoscere aspetti di me che non avrei mai potuto immaginare potessero esistere.
Sono stati tre anni esaltanti, con qualche momento difficile, fatto di alcune incomprensioni dovute in gran parte alla mia inesperienza, ma soprattutto di esaltazione, gran lavoro e ottimi risultati.
La loro Agenzia è una casa accogliente, un luogo dove ogni scrittore e scrittrice dovrebbero vivere e crescere professionalmente.
Andrea è preciso, chirurgico, appassionato.
Ha colto in me e nella mia scrittura qualcosa che io non sapevo neanche di possedere. Ha capito prima di me cosa volessi comunicare e mi ha aiutato a farlo crescere, maturare e poi sbocciare.
Se oggi ho scritto e sfornato un libro e ne ho scritto un secondo in attesa di essere pubblicato, Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri – Romanzo, è soprattutto grazie a lui.
Se mai un domani diventerò uno scrittore vero, una gran parte del merito sarà il suo.
Grazie Andrea, grazie Roberto, incontrarvi è stata una fortuna e un onore.
E questi sono solo i primi tre anni.
Andiamo avanti così, avremo grandi soddisfazioni insieme.
Vi abbraccio
Daniele
02 venerdì Mar 2018
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Non sono solito postare qui sul sito le recensioni di Amazon (che lascio alla pagina di Facebook), ma questa mi ha colpito molto.
Vi lascio un estratto a seguire e la recensione completa cliccando qui
Un caro saluto,
Daniele
“Scopro subito le mie carte: questo “Manuale” è un piccolo capolavoro. Parla d’amore, eppure non è una vera e propria storia d’amore. Parla di sentimenti ma è tutt’altro che un romanzo sentimentale. Sono due microcosmi, e la loro relazione, ad essere narrati.
Non è affatto una lettura “d’evasione”, questo “manuale”.
È troppo profondo e disincantato per farci banalmente sognare. Ci pone di fronte alla realtà, dando voce alla parte più scomoda dell’animo umano, quella che teniamo ben sepolta e siamo così bravi ad ignorare. L’ho trovato coraggioso e controcorrente.
Daniele Germani narra con una scrittura poetica e delicata, che quasi contrasta con la durezza della trama. È proprio questo che mi ha affascinata, assieme alla maturità con cui tratta le parole e plasma le frasi. Alcuni passaggi sembrano raccontare un dipinto, in altri ho trovato la musicalità di una melodia.”
28 domenica Gen 2018
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letteratura, letteratura italiana, lettura, libri, racconti, racconti brevi, racconto, RECENSIONE, romanzo, scrittori, scrittori esordienti, scrittura, scrittura creativa
Daniela Sardella recensisce il Manuale di fisica e buone maniere per La Gilda dei lettori
Guardando la copertina del suo Romanzo, dove è raffigurata una formula matematica, non avrei mai potuto immaginare di imbattermi in una storia d’amore. Una storia d’amore si, ma piena di paure, fragilità, disagi ed eventi che hanno segnato per sempre la vita dei due protagonisti. Una storia diversa, che non parla di romanticismo, ma che ti colpisce facendoti patire ogni attimo del racconto. Due ragazzi con storie differenti che hanno “segnato” il loro percorso, le loro scelte o se vogliamo chiamarlo il loro “destino”….
Lui un ragazzo chiuso con problemi relazionali, un tipo strano, che possiede un libriccino, che custodisce in maniera quasi maniacale, dove annota i suoi esperimenti bizzarri e lugubri, come gli esprimenti che portano alla morte del suo gatto.
Lei una brillante studentessa di Astrofisica, ma con un passato brutale, cattivo che le ha segnato non solo il resto della vita spezzandole la gioia e l’amore perfetto di una famiglia perfetta, ma che ha cambiato l’essere interiore che era, costruendo un muro tra se e i rapporti umani.
“Decise di non vivere, decise di nascondersi e ci riuscì, anche se per poco!!” Come ambiente perfetto Daniele Germani sceglie uno scenario poco accogliente, direi freddo, ma che lui sa descrivere così bene che ci dà la sensazione di percorrere gli stessi vicoli del protagonista. Luogo adatto per essere invisibile, ognuno vive la propria vita quasi come dei Robot. A quel ragazzo così silenzioso serviva solo mimetizzarsi tra la gente e tutto sarebbe andato nel verso giusto.
Ma ancora una volta si presentano situazioni strane…Uno strano incidente gli provoca Amnesia, ed essendo fuggito senza lasciare tracce, non lo cerca nessuno, nemmeno la famiglia e tutto ciò lo porta, forse senza volerlo, ad ottenere ancora più ciò che desiderava: essere invisibile!!
Poi lei, la stessa ragazza che lo ha portato a fuggire da tutto e tutti, dopo quel bacio lo sorprende e lo sconvolge in maniera ancora più forte.
La lettura è scorrevole e piacevole, mi ha saputo riportare indietro nel tempo. Durante la lettura si sono svegliati sentimenti forti che hanno fatto riemergere in me sensazioni e disagi che i protagonisti hanno provato: il sentirsi fuori posto nella stessa famiglia e le immancabili scelte, forse giuste o sbagliate, che hanno segnato il cammino della loro o nostra esistenza!
Vi invito a immergervi in questo splendido Romanzo dove Daniele Germani racconta un amore diverso, unico nel suo genere. Buona lettura a tutti voi!
Daniela Sardella